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    Dopo cento anni da Belfast una storia di gratitudine e salvezza

    “Per un debito di riconoscenza verso la Comunità ebraica a distanza di cento anni”: queste le righe gentili che accompagnano l’arrivo del volume “Uno e 50” scritto da Maria Antonietta Rea. Una gratitudine che ha un’origine antica e risale alla vicenda di un nonno che Rea non ha conosciuto. Una storia come tante nell’Italia dei poveri tra Ottocento e Novecento. Emigrazione, povertà e sudore: una vicenda ciociara lontana anni luce da Roma e che passa per un molo irlandese. 

    Al telefono la voce le si incrina: “Sono passati tanti anni ma la fiducia gratuita che quegli sconosciuti offrirono a mio nonno Michele ha salvato tutta la famiglia dalla miseria e dalla disperazione”. Maria Antonietta ha una sua storia che meriterebbe un altro romanzo a dimostrazione che resistenza e resilienza si tramandano ma la storia raccontata in “Uno e 50” riguarda la vita del nonno Michele ricostruita tra invenzione e realtà a partire dall’altezza di quel Rea piccolo e mingherlino venduto dalla matrigna ad un trafficante di lavoratori bambini in Francia. Ma questo è solo l’inizio: passano i decenni e Michele Rea attraversa miracolosamente indenne la prima guerra mondiale. Il ritorno alla miseria della campagna è drammatico e sceglie di emigrare ancora una volta: in Irlanda, a Belfast, pare che si possa fare fortuna nonostante le tensioni tra cattolici e protestanti e la presenza delle truppe inglesi. Il lavoro duro e faticoso ricompensa Michele quando un incendio distrugge la piccola rivendita di fish and chips con cui finalmente riesce a mantenere la moglie Angiolina, incinta, e la piccina di tre anni affidatagli da un cugino vedovo. Disperato Michele passa le sue giornate al porto e allontana la disperazione leggendo la Bibbia. Non trova lavoro – nell’Irlanda di quegli anni gli italiani cattolici se la cavano ancora peggio degli altri immigrati. “Al porto, dove ogni giorno andava Michele – scrive Rea – c’era anche una comunità ebraica. Fabbricava cordame nautico: corde, funi, sartie oltre che lavorare filati”. Rea si aiuta probabilmente con la fantasia per ricostruire quanto avvenuto sul molo e poi tramandato nelle memorie famigliari: “Un giorno passando là davanti, ecco uno del gruppo che, con un cenno, lo chiamò chiedendogli di entrare nel loro magazzino. Qualcuno di loro, il capo, gli voleva parlare”. L’accoglienza è composta e lo sottopongono ad un interrogatorio: Chi sei? Da dove vieni? Cosa ti è accaduto? A loro Michele racconta dell’incendio, spiega ciò che non ha detto a nessuno – nemmeno ad Angiolina – la colpa è tutta sua: ha sentito la sirena del coprifuoco ed è scappato senza spegnere il fuoco sotto la friggitrice. Se è andato tutto in fumo, quindi, è solo colpa sua. Ma quella piccola comunità ebraica, benestante e generosa, lo rincuora, riconosce un’unità di destini: “Tranquillo, di noi ti puoi fidare. Capitano spesso questi incidenti per la tensione in cui viviamo tutti noi stranieri”. Sanno di lui, si sono informati dai correligionari in Italia, sanno che è un eroe di guerra e decidono di fidarsi: “Vederti pregare ci ha commosso e convinto – riporta Rea – Sei un uomo di fede e per noi questo è importante (…) Ti diamo noi i soldi per ricominciare. Ce li restituirai appena potrai e senza interessi. Non li vogliamo”. Così è cominciata la fortuna di Michele Rea, da un prestito sul molo. Poi le cose gli sono andate bene davvero, poi è tornato in Italia, a Sora. Lì è vissuto a lungo, continuando a restituire il bene che gli era stato fatto nella vita da tanti, compresa la comunità ebraica di Belfast. 

    Oggi le notizie da Belfast sono confuse: il 17 aprile ci sono stato scontri dovuti alla Brexit e negli stessi giorni sono state vandalizzate dieci tombe al cimitero ebraico. La comunità – a cui è andata la solidarietà di tutte le istituzioni cittadine – conta oramai meno di ottanta persone dopo aver raggiunto il suo apice nel XVIII secolo arrivando a oltre 1500. Una piccola collettività che ha dato i natali a Chaim Herzog, sesto presidente dello stato d’Israele. Durante la guerra nei suoi dintorni è stata creata una aksharà dove sono stati accolti bambini ebrei in fuga dalla Germania nazista. Oggi la storia di Michele Rea, scritta con precisione e scrupolo di ricostruzione dalla nipote Maria Antonietta per Bookabook, aggiunge un tassello ad una storia che lega la Belfast ebraica, sorprendentemente, all’Italia.

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