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    Italia e Israele, cambierà qualcosa?

    Questo il quesito da cui è partita la tavola rotonda che ha concluso i due giorni di convegno dell’UDAI, l’Unione di Associazioni pro Israele. La risposta non è stata univoca, ma l’evento ha segnato comunque un punto importante in quanto è stata la prima volta in cui le nuove forze politiche si sono confrontate pubblicamente sul tema Israele dopo le elezioni del 4 marzo. Lo scenario politico italiano è infatti in una fase di piena evoluzione e le posizioni dei partiti di governo su alcune tematiche lasciano ancora spazio a interrogativi. La politica estera, peraltro, non è menzionata nel contratto di governo e alla Farnesina c’è un tecnico, il Ministro Enzo Moavero Milanesi, motivazioni che hanno suscitato ulteriore curiosità attorno agli ospiti del dibattito: come rappresentanti della maggioranza c’erano Lorenzo Fioramonti, vice Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in quota Cinque Stelle, e Fabrizio Ricca, capogruppo della Lega al Comune di Torino; per l’opposizione, il deputato di Forza Italia Andrea Orsini. Moderatore il direttore de La Stampa Maurizio Molinari, il quale ha incalzato i relatori su diversi temi, dopo l’introduzione di Angelo Pezzana dell’UDAI e dopo i saluti della Presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello.

    Cos’hanno in comune e cosa distanzia oggi Italia e Israele? Cosa dovrebbe fare l’Italia (ma anche l’Unione Europea) per avere un ruolo più incisivo in Medio Oriente ed esercitare un maggiore appeal su Israele, attratto invece da Stati Uniti e Russia? Partendo da queste domande si è sviluppata l’analisi degli ospiti. Tutti hanno riscontrato tanti punti in contatto tra Italia e Israele, come la concezione democratica, la storia millenaria, i legami culturali, sociali, spirituali. Si è poi aperta la discussione su alcuni punti. Fioramonti ha ravvisato per l’Italia la necessità di acquisire un’equidistanza nell’affrontare i problemi. La sua carriera accademica e la sua attuale esperienza al MIUR lo hanno condotto a sviluppare numerosi contatti con le università israeliane e palestinesi, con le quali si propone di procedere con ulteriori iniziative per una soft diplomacy che possa favorire un dialogo della società civile, utile sponda e supporto per un processo politico di non semplice composizione. Evocando i suoi viaggi nell’area, Fioramonti ha anche sollevato il tema delle violazioni di diritti umani nei territori palestinesi: una questione che ha suscitato diversi disappunti nonché la replica che queste violenze sono perpetrate perlopiù proprio dalla stessa classe dirigente palestinese. Fioramonti ha quindi sottolineato l’ampia varietà da cui è composta la politica e la società israeliana, auspicando un dialogo su diversi piani che porti ad azioni concrete e non a gesti simbolici, con riferimento allo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme. Non proprio sulla stessa linea il rappresentante dell’alleato di governo: il leghista Ricca, infatti, ha ad esempio dichiarato la posizione del suo partito a favore dello spostamento della sede diplomatica italiana a Gerusalemme, sebbene non fattibile nel breve periodo. La posizione del suo partito, a suo avviso, si inserirebbe in un più ampia compagine filo-israeliana a livello europeo. Un punto quest’ultimo su cui ha dissentito Andrea Orsini, rilevando la non irreprensibilità di alcuni alleati europei, come il Rassemblement National di Marine Le Pen. Il deputato di Forza Italia ha quindi ricordato l’amicizia dei governi di Berlusconi con Israele e l’attualità di problematiche che accomunano ancora oggi i due Paesi, come il terrorismo.

    Quella che viviamo oggi, come ha fatto notare Molinari, è una fase di stallo nel processo di pace, un momento di riflessione su proposte inedite come quella di Trump di riunire Israele, Giordania e Palestina in una sorta di confederazione. Può l’Italia essere protagonista di questi nuovi scenari? La risposta dei politici è stata affermativa, anche se sono emerse altre sfumature divergenti tra le diverse posizioni e, come ha detto Ricca, ci vuole pazienza. Ma quello che chiede l’UDAI alla politica italiana, come ha ricordato Pezzana in chiusura di dibattito, sono fatti concreti oltreché buoni propositi.

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