
Anno 2015. Seduto sulla sua poltrona, circondato dai libri, con gli occhi semichiusi, Rav Elio Toaff si lasciò avvolgere dalla luce tiepida e trasparente del mattino. Poi lanciò uno sguardo attraverso la finestra, verso il Tempio Maggiore, luogo simbolo di una comunità che lo vide protagonista nei momenti più difficili e nelle gioie più intense di una lunga fase storica (1951-2001). I movimenti erano maestosi, ma rallentati dal peso dei ricordi. I gesti, gli sguardi stavano seguendo un flusso di memorie che riaffioravano. Un’esistenza non facile la sua, caratterizzata dagli anni della giovinezza, tempo di speranze spezzate e di scelte dure. Era il 2 dicembre 1951 quando Elio Toaff fu nominato Rabbino Capo di una comunità ancora provata dalle leggi antiebraiche, dalla guerra, dalle deportazioni e dagli eccidi. Queste le sue parole nel momento dell’insediamento: “Io sarò il maestro in cui ognuno potrà rivolgersi per avere insegnamento e consiglio. […] Cercherò di vivere la vita della Comunità e dei singoli per rendermi conto dei loro problemi e per cercare di risolverli con loro in spirito di fraternità e comprensione”. (Fonte: La voce della Comunità, 20 dicembre 1951).
In una relazione dattiloscritta del 14 febbraio 1952, nella quale accettò l’incarico di Rabbino Capo, fissò gli obiettivi: “La missione del rabbino deve tendere a tre scopi: incrementare l’osservanza delle prescrizioni rituali, diffondere la conoscenza dell’idea dell’ebraismo attraverso l’istruzione, provvedere all’elevazione delle classi socialmente arretrate” (Stefania Caviglia, Sul Romanzo, 2015). Nonostante le difficoltà, riuscì a ridare orgoglio e forza al suo popolo, diventando un’eminente personalità pubblica in grado di interloquire ed essere ascoltata dalle più alte cariche dello Stato italiano e da politici di caratura internazionale.
L’approccio alla Comunità di Rav Toaff era esemplare. Vi si rivolgeva con il sorriso e ogni persona veniva ricevuta nel suo studio con un atteggiamento di generosità e comprensione, ma ciò non ha mai significato lassismo sul piano del rispetto dell’ortodossia. Aprì le porte della sua casa a chi avesse avuto bisogno di un consiglio, di una parola affettuosa, di una spiegazione biblica. Ma fece di più: riuscì a comunicare a un pubblico non formato da soli ebrei e, attraverso i media, venne progressivamente identificato come l’uomo del dialogo fra persone e comunità di culture diverse, rimanendo risoluto quando necessario.
Nel 1982, dopo la campagna denigratoria nei confronti dello Stato d’Israele e degli ebrei nel loro complesso, a cui fece segui il terribile attentato palestinese al Tempio Maggiore (9 ottobre) seppe trattare con dignità e fermezza quei politici che volevano portare le loro false condoglianze a una comunità che avevano isolato politicamente. Diversamente, il 13 aprile 1986, accolse al Tempio Maggiore Giovanni Paolo II: una svolta epocale nelle relazioni tra ebrei e cattolici e non solo.
Sul piano interno, era determinato anche di fronte a chi metteva in discussione l’utilità e le finalità del Collegio Rabbinico: un’istituzione che sempre difese con forza come struttura fondamentale per la tenuta identitaria dell’ebraismo italiano.
Rav Elio Toaff ci ha lasciato il 19 aprile 2015 a quasi cento anni di età, ma il suo ricordo e le sue azioni sono rimasti nel cuore di coloro che ebbero la fortuna di conoscerlo.