
Una voce rotta dall’emozione ma ferma nella sua denuncia ha scosso ieri il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. A parlare è stata Ilana Gritzewsky, giovane israeliana di origine messicana rimasta per 55 giorni nelle mani di Hamas dopo il 7 ottobre. Compagna di Matan Zangauker, ostaggio da 691 giorni nei tunnel di Hamas, Ilana ha raccontato la brutalità subita e ha accusato la comunità internazionale di praticare due pesi e due misure.
Davanti agli ambasciatori ha rievocato la sua cattura: i terroristi l’hanno trascinata fuori di casa, picchiata, spogliata in parte, umiliata con abusi sessuali e lasciata con ferite gravi – mascella fratturata, bacino spezzato, ustioni. Poi settimane di spostamenti tra case, tunnel e appartamenti sudici, con scarsissimo cibo e acqua quasi inesistente. Ha perso dodici chili in meno di due mesi, sopravvivendo in condizioni di terrore psicologico costante. “Promesse false, perquisizioni continue, manipolazioni: era un inferno quotidiano” ha detto, descrivendo anche la paura di non rivedere mai il suo compagno.
Nei giorni precedenti al rilascio, Ilana è stata trasferita prima all’ospedale Nasser e poi in un tunnel dove ha incontrato altri ostaggi israeliani. Lì ha scoperto che anche Matan era prigioniero a Gaza. “Ho supplicato i terroristi di farmelo vedere. Mi hanno detto ‘più tardi’. Quel momento non è mai arrivato” ha ricordato. Quando le hanno annunciato la liberazione, ha persino rifiutato: “Non volevo andarmene senza di lui. Sapevo che una parte di me sarebbe rimasta nei tunnel”.
La sua denuncia più dura è stata rivolta al comportamento ambiguo della comunità internazionale: “Quando i cartelli in Messico uccidono e torturano, il mondo li chiama terroristi. Perché con Hamas si esita? Perché chi brucia vivi i bambini, violenta le donne, mutila i corpi non viene condannato allo stesso modo? Perché i racconti delle vittime ebree vengono messi in dubbio?”. Ha parlato apertamente di tradimento e ipocrisia, accusando il Consiglio di Sicurezza di non avere il coraggio di nominare Hamas per quello che è: un’organizzazione terroristica.
Ilana ha poi rivolto un appello diretto: “Non voltatevi dall’altra parte. Non lasciate che divisioni politiche soffochino le voci delle vittime. Pretendete la liberazione immediata e senza condizioni di ogni ostaggio. Non domani, non in un futuro indefinito: adesso”.
Nel finale, le sue parole si sono fatte intime, rivolte a Matan: “Tua madre, tua sorella, il nostro cane Noni ed io… ti stiamo aspettando. Io ti sto aspettando”. Un messaggio d’amore e di resistenza che ha trasformato un discorso politico in un grido universale: riportare a casa chi è ancora prigioniero.