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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    Parashà di Ki Tavò: Cosa sono le leggi suntuarie

    Tra le numerose benedizioni che verranno al popolo d’Israele, se ascolteranno le parole dell’Eterno, ve ne è una usata dai Maestri per una derashà basata su una somiglianza di due parole. Nei primi versetti del 28simo capitolo in questa parashà è scritto: “L’Eterno ordinerà alla benedizione d’esser con te nei tuoi granai e in tutto ciò a cui metterai mano; e ti benedirà nel paese che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà (Devarìm, 28: 8)

    Le parole “nei tuoi granai” traducono il termine “be-asamèkha”. I Maestri usano la radice di questa parola per paragonarla alla parola “samui” che significa “nascosto”.

    Nel trattato talmudico di Ta’anìt (8b) viene citato r. Yitzchak che dice: “La benedizione non si trova altro che nelle cose nascoste dalla vista, perché è detto; L’Eterno ordinerà alla benedizione d’esser con te nei tuoi granai”, (be-asamekha”).

    Joseph Pacifici (Firenze, 1928-2021, Modiin Illit) in Hearòt ve-He’aròt (p. 226) commenta che lo stesso vale nello studio della Torà. Per avere successo nello studio è importante che venga fatto senza ostentazione. Infatti le prime tavole della legge che furono date al Monte Sinai tra tuoni e fulmini, vennero rotte; mentre le seconde tavole che vennero date senza fanfara, rimasero intere. Similmente, è importante che una persona che ha successo negli affari eviti l’ostentazione. Infatti quando i figli di Ya’akov andarono in Egitto a comprare grano per la famiglia durante la carestia, il padre disse loro di non far vedere che, a differenza di altri, non erano ancora toccati dalla carestia. Specialmente in un periodo di carestia in cui molti soffrivano la fame era inopportuno (e pericoloso) apparire tranquilli e ostentare ricchezza.  R. Pacifici aggiunge che gli ebrei vengono subito notati in qualunque posto essi arrivino. Anche dove arrivano da profughi, in pochi anni si ambientano e raggiungono posizioni di spicco sia nell’economia, sia nel mondo scientifico. Lo dimostra anche il numero di ebrei che hanno ricevuto il premio Nobel. Purtroppo questi successi sono accompagnati dall’invidia dei gentili. 

    Durante i secoli in molte comunità ebraiche furono emanate regole suntuarie allo scopo di impedire l’ostentazione di ricchezze, specialmente per non attrarre l’attenzione dei non ebrei. Regole di questo genere erano in vigore già presso i Romani. Il termine suntuario viene dal latino sumptus, spesa. Nel dizionario Palazzi è scritto: “aggiunto di legge che presso i Romani poneva un freno al lusso stabilendo le somme che non dovevano essere oltrepassate nei banchetti, nelle veste, nelle vesti, ecc.”

    Il professor Roberto Bonfil nel suo libro “Jewish Life in Renaissance Italy” (1994) dedica un intero capitolo a questo argomento (pp. 104-111). Un esempio di leggi suntuarie emanate da comunità ebraiche è quella dell’anno 1418 a Forlì, dove i dirigenti della comunità decretarono tra le altre cose che (traduzione mia)  “…quando una sposa arriva a cavallo da un’altra città, può venire con una scorta che non superi dieci ebrei a cavallo e quattro a piedi. Nel caso che arrivi via mare, non può essere accompagnata al locale dello sposalizio da più di dodici uomini o donne ebrei”. Inoltre “nessun ebreo può invitare al banchetto nuziale più di venti uomini, dieci donne e cinque bambini. Non vi è tuttavia limite al numero di parenti stretti che possono essere invitati”.  In queste regole si raccomanda anche “di non attrarre l’attenzione dei gentili” e “di comportarsi in modo umile”.

    Anche nei nostri giorni si cerca di porre limiti alle spese, specialmente per i matrimoni. Questi tentativi hanno un successo limitato, specialmente in America, dove l’ostentazione è cosa comune.

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