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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    Si può essere bianchi come la neve oppure grigi come la lana

    Da secoli è uso comune definire il giorno della Teshuvà come Yom Kippùr – il giorno dell’espiazione. Tale nome, però, è un errore madornale. Il termine Yom Kippùr non compare mai nella Torà, in quanto tale ricorrenza nei Testi Sacri è sempre definita: Yom Hakippurìm – il giorno delle espiazioni (Lev 23, 27). Forse tale disattenzione dipende dal fatto che sia più logico parlare di un’unica riparazione dei peccati derivata dal nostro personale rimorso per possibili errori commessi. Ma nella Torà ogni parola ha una propria dialettica e razionalità. Cerchiamo dunque di capire perché è necessario parlare in questa ricorrenza di Kippurìm – di vari livelli di perdono. Riporteremo a riguardo tre diverse motivazioni proposte dai Maestri del passato.

    Il dotto Rabbì Barùkh Epshtain di Pinsk (1860 – 1941) riporta una fonte tratta dal Talmùd Yerushalmì (Yomà 1,8) secondo la quale vi sono due diverse possibilità per cambiare il proprio presente. Il Talmùd si basa sul versetto di Isaia: anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come la neve;anche se fossero rossi come porpora, diventeranno come la lana (Isaia 1,18). La parola scarlatto è definita nel Testo originale Shanìm che può essere tradotta con il termine anni. Il cambiamento del passato è legato anche all’età. L’agire umano si addentra nell’animo e lentamente, col tempo, si lega in modo indelebile al carattere della persona. Un giovane può ancora cambiare la propria identità, comprendere gli sbagli e mutare il proprio agire, tornando ad essere bianco come la neve. Ma un anziano che nel corso degli anni ha cambiato la propria anima colorandola di porpora non potrà mai veramente modificare la propria natura. Porpora nel versetto citato è definita Tolà, che in ebraico significa anche verme. L’agire, come un verme, scava e si introduce in noi e si può trovare con estrema difficoltà. L’uomo adulto potrà sì cambiare il proprio agire scorretto ma il suo biancore sarà comunque simile al cinereo colore della lana, perché il passato non potrà mai essere realmente cancellato. Vi sono pertanto due Kippurìm, due diverse espiazioni. Più si attende e più sarà complicato schiarire il proprio insano comportamento. Si cerchi sempre di aiutare un giovane, un ragazzo a comprendere i propri errori e a cambiare altrimenti, col tempo, ciò diverrà sempre più complicato. Ma Rabbì Epshtain propone anche una seconda motivazione al quesito qui riportato. Vi sono due tipi di peccato che vengono giudicati in cielo in rapporto alla gravità di azione. Il Talmùd babilonese in Yomà 7a insegna che colui che porta altre persone a commettere delle trasgressioni non potrà mai essere perdonato interamente da Dio e, nonostante l’avvenuto pentimento, la sua anima sarà sempre intaccata dal grigiore del passato. Chi fa peccare altre persone, ad esempio raccontando maldicenze, oppure colui che non permette ad altri di compiere un doveroso precetto, tipo disturbando la preghiera chiacchierando in un Tempio, potrà un giorno ravvedersi ma non sarà mai completamente perdonato. Diverso è colui che commette una personale trasgressione. L’animo di costui, in caso di Teshuvà, potrà tornare ad essere bianco come la neve. Ecco spiegate le due diverse espiazioni a cui fa riferimento il nome del giorno.

    Infine, il grande Maestro Moshè Isserles di Cracovia (1520 – 1572) nel suo testo Darkhè Moshè (cap. 621) spiega che le diverse espiazioni incluse nel nome Yom Hakippurìm trattano di due diversi tipi di persone: gli esseri ancora in vita e coloro che sono ormai scomparsi. Non solo i viventi, dunque, vengono perdonati nel giorno della Teshuvà ma anche le anime dei defunti che trovano la quiete e la serenità nel mondo dell’aldilà. Ecco perché nel Yom Hakippurìm in tutti i riti e in ogni Tempio si ricordano le persone ormai decedute. Il dotto Rabbì Yaakòv Orenshtain (1775 – 1839) chiese a riguardo il motivo per cui un defunto al quale è ormai interdetta la possibilità di fare Teshuvà, possa essere perdonato e benedetto nel Yom Kippurìm. È il ricordo di un parente o di un amico scomparso, spiega il Maestro, che porta l’essere vivente a pregare e ad operare in modo diverso dal passato. La nostra Teshuvà e il buon agire voluto dal cielo dipende anche da coloro che pur non essendo più tra noi hanno lasciato un segno indelebile nella nostra esistenza ebraica. Un genitore, un parente, un amico o un soldato d’Israele seppure mai conosciuto che hanno perso la loro vita ma che hanno costruito la nostra esistenza, partecipano con la loro anima alle nostre preghiere e alla nostra Teshuvà nel Yom Hakippurìm. Sono le persone che non sono più tra noi che hanno in cielo l’anima bianca come la neve per ciò che hanno lasciato nel mondo terreno, perché è grazie a loro se noi, vestiti di pura lana, possiamo modificare il nostro passato e costruire il nostro futuro.

    Un buon Yom Hakippurìm a tutto ‘Am Israèl.

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