
Israele ha lanciato una delle più vaste campagne di public diplomacy negli Stati Uniti dall’inizio della guerra a Gaza. Secondo documenti presentati al Dipartimento di Giustizia americano nell’ambito del Foreign Agents Registration Act (FARA), il Ministero degli Esteri israeliano ha siglato un accordo con la società statunitense Clock Tower per una strategia di comunicazione globale che punta a modellare la percezione pubblica di Israele online, coinvolgendo anche piattaforme di intelligenza artificiale come ChatGPT.
L’operazione, parte del cosiddetto “Project 545”, dal budget complessivo di 545 milioni di shekel (circa 145 milioni di dollari), sarà gestita attraverso il Government Advertising Bureau e implementata dal gruppo Havas Media Network. Almeno l’80% dei contenuti sarà pensato per raggiungere la Generazione Z su piattaforme come TikTok, Instagram, YouTube e podcast. L’obiettivo di visibilità fissato nei contratti è di 50 milioni di impression mensili.
La decisione arriva in un contesto in cui il sostegno a Israele tra i giovani statunitensi è in forte calo. Un sondaggio pubblicato a luglio ha rilevato che solo il 9% degli americani tra i 18 e i 34 anni approva le operazioni militari israeliane a Gaza. Un’indagine commissionata dallo stesso Ministero degli Esteri israeliano ha inoltre evidenziato che il 47% degli americani ritiene che Israele stia commettendo un genocidio. Per Gerusalemme quindi la battaglia dell’opinione pubblica è diventata prioritaria quasi quanto quella militare. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha definito i social media “l’ottavo fronte” di Israele, sottolineando che “l’arma più importante oggi è la comunicazione digitale”.
A guidare l’operazione è Brad Parscale, ex stratega della campagna presidenziale di Donald Trump nel 2016 e figura centrale nell’ecosistema mediatico conservatore americano. Parscale è oggi a capo di Clock Tower e chief strategy officer del network Salem Media Group, legato all’ala cristiana conservatrice. Secondo le carte, la missione ufficiale di Clock Tower è “condurre una campagna nazionale negli Stati Uniti per combattere l’antisemitismo”, ma la portata reale è molto più ampia e riguarda il posizionamento narrativo di Israele nel discorso pubblico americano. Il progetto arriva dopo la fine del contratto con SKDKnickerbocker, agenzia di comunicazione legata al Partito Democratico. La collaborazione era stata criticata per l’uso di un “bot farm” a sostegno della narrazione israeliana durante il sequestro della famiglia Bibas. Dopo le polemiche, l’accordo, dal valore di 600.000 dollari, è stato interrotto.
Parallelamente, il governo israeliano ha avviato Project Esther, un’iniziativa per finanziare influencer statunitensi che diffondano contenuti pro-Israele. L’incarico è stato affidato a Bridges Partners LLC, società fondata da strategisti israeliani. Il piano prevede nella prima fase il coinvolgimento di 5-6 influencer, ciascuno con 25-30 post al mese su TikTok, Instagram e altre piattaforme. I compensi possono arrivare fino a centinaia di migliaia di dollari. Nelle fasi successive, la rete sarà ampliata con collaborazioni con creator israeliani e agenzie americane.
La scorsa settimana Netanyahu ha incontrato a New York alcuni di questi influencer, tra cui Lizzy Savetsky, Ari Ackerman e Zach Sage Fox. L’influencer Shay Sabo, presente alla riunione, ha dichiarato: “L’obiettivo è rafforzare l’advocacy ebraica, non sostituire la lotta delle famiglie. In questo momento servono unità e non accuse reciproche”.