
Il 28 ottobre 1965, sessanta anni fa, il Concilio Vaticano II approvava la Dichiarazione Nostra Aetate, uno storico documento che annunciava significativi cambiamenti nel rapporto tra la Chiesa cattolica e le altre religioni, in particolare con l’ebraismo. Sul tema abbiamo intervistato il Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni.
Sono passati 60 anni dalla pubblicazione di Nostra Aetate: come è cambiato il rapporto tra cattolicesimo ed ebraismo?
Il rapporto è cambiato radicalmente: da una posizione di disprezzo, antagonismo, richiesta istituzionale di conversione, accuse alla religione e colpevolizzazione dei suoi fedeli, si è passati gradualmente al riconoscimento della validità della fede ebraica come si è mantenuta per secoli, alla stima e alla collaborazione.
Quale fu la vera rivoluzione di Nostra Aetate?
Alcune affermazioni di principio, per quanto espresse in una forma cauta e in un complicato linguaggio teologico: che “gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio”, che “non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti”, che la Chiesa “deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque” e “vuole promuovere e raccomandare la mutua conoscenza e stima” e soprattutto che gli ebrei di oggi non sono colpevoli di deicidio.
Si è molto discusso sulla definizione di Fratelli Maggiori, ha ancora senso?
Quella definizione – lanciata da Giovanni Paolo II nella sua visita alla Sinagoga di Roma del 1986 – suscitava perplessità perché, se da un lato la maggioranza delle persone, ignorante delle Scritture, la considerava positivamente come un segno di fratellanza, dall’altro, in senso biblico e teologico, segnalava che il fratello maggiore è quello cattivo e quello che ha perso la primogenitura. A seguito delle critiche la definizione è stata addolcita, e se ne se sono aggiunte altre (fratelli prediletti, fratelli maggiori nella fede, padri nella fede, ecc.).
L’accusa di deicidio è finalmente sradicata o ancora aleggia certe volte in ambienti antisemiti o in vignette pseudo satiriche?
L’accusa di deicidio in realtà non è stata cancellata del tutto da Nostra Aetate, ma limitata, nel senso che non tutti gli ebrei del tempo e tantomeno i loro discendenti, come noi stessi, ne siamo responsabili. Il messaggio è stato diffuso e non pesa più come una clava nei rapporti dei cristiani con gli ebrei, come era un tempo. Ma resiste in due ambiti: in quello di cristiani molto tradizionalisti e in fondo alle coscienze popolari, soprattutto in quelle che hanno ricevuto una infarinatura di antica cultura cristiana, quanto basta per non avere simpatici gli ebrei. Che devono essere per forza colpevoli di qualche “-cidio”, che si tratti di bambini o di intere popolazioni, come è stato detto in questi ultimi tempi. Per inciso si noti come, in parallelo, alcuni intellettuali hanno parlato anche di un altro “-cidio”, il suicidio ebraico.
Oggi l’antisemitismo è tornato a crescere con lo scudo dell’antisionismo, si può risalire all’antigiudaismo cristiano o è qualcosa di diverso?
L’antisemitismo è un ampio spettro in cui vi sono diverse componenti che si associano ed è difficile fare nette distinzioni. L’antisemitismo nazista si basava su concetti razziali ma non avrebbe potuto attecchire e prosperare senza una antica e consolidata base di tipo teologico ed economico. L’ampio sostegno popolare che vediamo oggi non si può spiegare in semplici termini di protesta politica, perché evoca e si fonda su qualcosa di più profondo. In alcuni casi non c’è neppure bisogno di scavare in profondità, certe espressioni sono autentico e classico antigiudaismo cristiano con un sottile vestitino politico.
Nel suo libro “Ebrei in guerra” vi sono le critiche al cardinale Pizzaballa con la kefia e anche sul presepe con il bambinello con la kefia durante il pontificato di Papa Francesco a seguito della guerra a Gaza. È cambiato qualcosa con l’arrivo di Leone XIV?
Nella posizione del Vaticano e di suoi esponenti durante la guerra hanno giocato diverse componenti: la comprensibile preoccupazione per la guerra e i lutti che provoca, insieme alla volontà di condividere o assecondare gli umori popolari spinti alla commozione per la tragedia di Gaza, la necessità di proteggere i cristiani nei paesi islamici, la politica classica del Vaticano sul Medio Oriente che non ha mai rinunciato, ad esempio, alla richiesta di internazionalizzazione di Gerusalemme, gli orientamenti politici generali del Vaticano nello scacchiere mondiale, una mai sopita non eccessiva simpatia per il popolo ebraico e in particolare per la sua forma statale, Israele. Tutto questo ha portato fin dall’inizio a un atteggiamento di freddezza se non di aperta ostilità nei confronti di Israele. Che dal piano politico si è spostato, in molti casi locali, a quello teologico. Lo stile del nuovo papa è differente dal precedente, e certamente si può notare che vi sia da parte sua un atteggiamento più prudente e equilibrato.
Altra questione affrontata nel libro è che per i cristiani risulta incomprensibile che gli ebrei non credano in Cristo, mentre per gli ebrei risulta incomprensibile che i cristiani ci credano… non c’è quindi speranza? È un dialogo tra sordi?
Fin dall’inizio si è capito che gli interessi, nel senso positivo del termine, di ebrei e cristiani nel dialogo erano piuttosto differenti. Da una certa parte cristiana c’è un intento di confronto teologico, mentre da parte ebraica si vuole evitare il confronto teologico e dottrinale, e concentrarsi piuttosto sul tema del rispetto reciproco e della collaborazione. Le due visioni opposte qualche volta si sono scontrate ma si è in ogni caso creato lo spazio per un confronto, non tanto facile ma comunque positivo.
In questi giorni di celebrazioni avverte delle novità?
Bisogna tener presente che la dichiarazione Nostra Aetate non riguarda solo l’ebraismo ma tutte le religioni non cristiane. La parte di questa dichiarazione che si riferisce agli ebrei è però rilevante, quasi il 40% delle parole di quel documento. Per questo motivo ha attirato l’attenzione generale, e non solo ebraica, come se fosse una dichiarazione soprattutto sugli ebrei. La particolare attenzione del Vaticano ai rapporti con gli ebrei si è espressa anche quando fu deciso di creare una Commissione apposita, inserita in quello che oggi è chiamato il Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, mentre di tutte le altre religioni non cristiane si occupava il Dicastero per il dialogo interreligioso. Una scelta un po’ ambigua perché, se da un lato privilegiava il rapporto con l’ebraismo, dall’altro lo considerava come una specie di denominazione cristiana. Quello che si avverte in questi giorni di celebrazioni, a differenza del passato in cui si organizzavano solenni eventi cristiano-ebraici, è la sottolineatura del valore universale di Nostra Aetate, in cui gli ebrei sono solo un dettaglio in una moltitudine di popoli e fedi differenti. È questo, per esempio, il tono che è stato dato alla celebrazione ufficiale in Vaticano della sera del 28 ottobre, in cui, tra l’altro, a parlare di Israele è stata invitata una dissidente. È stata importante la sottolineatura del fatto che la Chiesa è contro l’antisemitismo, come è stato fatto nell’udienza generale della mattina successiva, ma bisognerebbe spiegare alle persone che cosa è l’antisemitismo che si condanna.













