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    ROMA EBRAICA

    Addio a Jacob Bino Meghnagi: il ricordo dell’amico Ariel Arbib

    È venuto a mancare Jacob Bino Meghnagi. Nato nel 1940 a Tripoli, svolse con i fratelli un ruolo importante, nel giugno del 1967, per proteggere 52 persone, tra inquilini e rifugiati nello stabile in cui abitava. Lasciò Tripoli, solo dopo che queste famiglie erano fuggite dalla Libia. Per un mese, grazie all’impegno profuso con la madre, in contatto con vicini mussulmani, 52 persone ebbero di che cibarsi.
    Giunto a Roma, fu in prima linea con i fratelli nell’assistenza dei profughi ebrei che avevano lasciato il Paese: grazie a lui, nei campi di Capua e Latina, poterono avere il vitto kasher. Grazie a lui, le autorità permisero ai shohet tripolini la macellazione rituale. In seguito, si impegnò con i fratelli nel movimento ‘Let my people go’. Alla fine degli anni ‘80 costituì il Comitato di assistenza per i profughi ebrei dall’Unione Sovietica e ne assunse la presidenza. Parallelamente a questo compito ha assistito per molti anni Sion Burbea nella guida del Tempio tripolino di via Veronese.
    Bino z.l., ricorda l’amico Ariel Arbib, è stato una presenza costante per oltre trent’anni del nostro Tempio, durante lo Yom Kippur allo Spagnolo. Seduto sempre al suo solito posto, di anno in anno e, per un lungo periodo, con accanto anche i suoi due giovani figli. Taciturno, ma sempre attento a seguire e partecipare alla tefillà, primo ad entrare la mattina per Shacrit ed ultimo ad uscire dopo la Avdalà.
    Un giorno mi raccontò dell’esistenza di un Aron ha Kodesh, custodito nel Tempio tripolino di via Veronese, che lui stesso aveva contribuito a costruire nel campo, non ricordo se di Latina o Formia, durante l’estate trascorsa e subìta da profughi dopo il giugno del ’67: abbandonati nel campo per mesi, privati di tutto ma non della loro innata intraprendenza, in attesa di ricostruirsi una nuova vita.
    Infatti, anni fa, andammo assieme al Tempio di via Veronese, per vedere l’Aron, incuriosito dal suo racconto. Era stato riposto in un angolo di una stanza, fatto con semplici assi di legno e con un piccolo Parochet di seta bianca, poco più grande di un tovagliolo, con ricamato sopra un Maghen David per coprire il Sefer Torà arrivato con loro da Tripoli. Materiali semplici, racimolati probabilmente qua e là nelle campagne attorno al campo, con i quali era stato creato un piccolo commovente capolavoro! Provai un profondo senso di affetto e ammirazione per Bino, mentre mi raccontava la loro storia, fatta di abusi, privazioni e sofferenza, ma senza mai scalfire minimamente la devozione ad H. che non poteva precludere la loro voglia e necessità di pregare come per secoli era stato fatto. Lascia la moglie Leah e i tre figli Salomon, Benjamin e Rebecca.
    Fai buon viaggio caro Bino, sono certo che il tuo posto nel Gan Eden sarà in prima fila.

    Le condoglianze anche da parte di Shalom alla moglie Leah e ai fratelli Simon, Isaac, Avraham (Mino), David e Miriam. Che la sua memoria sia di benedizione.

    In foto: Jacob Bino Meghnagi – Intervento al Keren Hayesod di Roma nel corso della visita di Rabin a Roma

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