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    Cultura

    Elena Colombo, una bambina sola nella Shoah: la presentazione alla Casina dei Vallati

    Si è tenuta ieri alla Casina dei Vallati, sede della Fondazione Museo della Shoah, la presentazione del volume “Elena. Storia di Elena Colombo, una bambina sola nella Shoah” (Giuntina), scritto da Fabrizio Rondolino, traduttore, giornalista e scrittore. L’incontro, parte del ciclo “Salotto Letterario” del Centro di Cultura Ebraica e della libreria Kiryat Sefer, ha riportato alla luce la vicenda di una bambina vittima della deportazione da sola, senza i suoi genitori. Il libro racconta infatti la breve vita di Elena Colombo, nata a Torino nel 1933 e deportata sola nel 1944, dopo l’arresto e la morte dei genitori. Rondolino unisce ricerca storica e testimonianze per restituire concretezza a una vicenda familiare rimasta a lungo in silenzio, affrontando il tema della trasmissione della memoria e della responsabilità del racconto.

    Ad aprire la serata è stata Carola Funaro, Vicepresidente della Comunità Ebraica di Roma e Assessore alla Memoria, che ha sottolineato il valore documentale e umano dell’opera. “La Shoah è stata un’entità enorme, raccontata spesso in numeri. Ma quando si entra nel particolare di una storia così dettagliata, come quella della famiglia Colombo, si comprende davvero la tragedia di ciascuno – ha detto la Vicepresidente – una storia con tanta violenza e privazioni, ma anche con molto coraggio: quello di chi, a rischio della propria vita, ha cercato di salvare altri. Funaro ha collegato la storia di Elena a un ricordo personale: “Mi piace pensare che, nel campo di Fossoli, il mio bisnonno, anche lui deportato, possa aver incontrato quella bambina e averle fatto una carezza”.

    Nel suo intervento, Mario Venezia, presidente della Fondazione Museo della Shoah, ha ribadito l’importanza del tempo nella costruzione della memoria e ha richiamato l’attenzione sul rischio di banalizzare: “questo libro offre un contributo prezioso alla ricostruzione delle storie familiari. Sempre più spesso riscoprire le vicende dei singoli significa comprendere meglio la complessità del passato”.
    Durante il dibattito condotto dal direttore di Shalom Ariela Piattelli con lo storico Manuele Gianfrancesco è emersa la capacità dell’autore di “riempire i vuoti” lasciati dalle fonti con un approccio rigoroso ma accessibile. Il volume, ha osservato Piattelli, “si distingue per il rispetto della verità storica e per l’uso responsabile dell’immaginazione, senza cedere alla retorica”. Una capacità straordinaria di ricostruire una vicenda personale permettendo al lettore di entrare dentro le pieghe della grande storia.
    Lo storico Manuele Gianfrancesco, della Fondazione Museo della Shoah, ha inquadrato la vicenda nel contesto della persecuzione degli ebrei italiani: “Il libro di Rondolino ci ricorda quanto siano fragili le nostre conoscenze. Abbiamo parlato tanto di Shoah, eppure ci sono ancora storie che si possono raccontare solo fino a un certo punto”. Lo storico ha posto l’accento sul ruolo dei bambini nella narrazione della Shoah: “In questi anni abbiamo ascoltato molte storie di bambini e ogni volta ci coinvolgono in maniera viscerale. Il destino dei più piccoli resta il punto più doloroso e difficile da raccontare”.
    L’auotore, Fabrizio Rondolino, ha poi spiegato le motivazioni alla base del libro e il metodo con cui ha affrontato una storia personale e insieme collettiva: “Ogni ricerca sulla Shoah si muove tra spazi e archivi vuoti, e su voci che non sono state ascoltate. Ho cercato di colmare questi vuoti con rispetto, senza mai attribuire a una bambina emozioni che non posso conoscere – ha detto durante la presentazione – Non ho il diritto di immaginare le reazioni di un’altra persona, tanto meno di una bambina. Ho solo cercato di restituire una presenza, di restituirle un nome”.
    L’incontro si è concluso con l’intervento dell’editore di Giuntina Shulim Vogelmann, che ha definito il libro “un raro esempio di memoria ricostruita con metodo e misura”.

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