
In questi giorni so che non sono l’unico che ha controllato il proprio profilo spotify per scoprire la sua età musicale e secondo l’algoritmo delle mie scelte musicali ho scoperto di avere più di 70 anni. Devo dire che la cosa non mi ha stupito…sono cresciuto in una casa dove sono il figlio più giovane, quindi la mia educazione musicale è stata influenzata da una sorella e un fratello più grandi di me e, inoltre, ho avuto un padre che sin dai primi anni del 1960, in una Sicilia molto conservatrice, apprezzava allo stesso modo Fabrizio De André, Gino Paoli, Milva e la massacrante malinconia di canzoni come ‘Balocchi e Profumi’. Aggiungiamo poi l’educazione all’Opera, il Nabucco, la Tosca, la Madama Butterfly e la mia passione per la musica popolare e neomelodica…insomma i 70 anni che mi affibbia spotify forse sono pure pochi: io me ne darei almeno 80 con gusti musicali totalmente schizofrenici. Pensate che i cugini israeliani di mia moglie si vergognavano quando, prima di andare a vivere in Israele, gli chiedevo di comprarmi, allora, i cd di Sarit Hadad e mi dicevano che era musica da Tachana Mercazit, “Stazione centrale degli autobus”, popolare e forse anche un po’ volgare. Eppure questa musica, questa vicinanza al popolo, con sguardo nobile, è forse la chiave più interessante per comprendere la festa di Januka (Chanukah in spagnolo) . Una festa che nel corso dei secoli è divenuta sempre più famosa e popolare, sempre più presente nelle case di Am Israel, come quelle canzoni popolari che tutti conosciamo e che quando ascoltiamo non possiamo fare a meno di canticchiare. Eppure fino al ventesimo secolo Januka era considerata una festa minore, per i pochi che avevano la pazienza ogni sera, per otto sere, di accendere una luce dopo l’altra. La stessa parola janukia, che indica la lampada a nove braccia che utilizziamo per queste sere invernali, è comparsa nell’uso del popolo ebraico solo alla fine del mille e ottocento. Januka è una festa popolarissima eppure senza libro come nel caso di Purim con la Meghilat Ester, una festa, quella di Januka, con una storia che raccontiamo senza leggere, che è presente nel Talmud (ma quanti di noi l’hanno letta la pagina 21b del trattato di Shabat che ci parla di Januka?) o è presente nei libri dei Maccabim che per la tradizione ebraica non sono nemmeno libri sacri. Januka è una festa nazionalpopolare che tutti festeggiamo ma che in realtà è come le canzoni popolari, neomelodiche, sanremesi: le conosciamo tutti, un po’ ce ne vergogniamo, ma non possiamo negare che siano parte della nostra identità. Diciamo la verità: emoziona molto di più la musica della preghiera di Neilà di Yom Kipur che non il Maoז Tzur di Januka. Però mediamente tutti sanno canticchiare il Maoז Tzur e meno persone sanno cantare la melodia di Neilà. Ed allora perché Januka è più popolarmente famosa? La risposta va cercata nello spotify che rivela la nostra età musicale. Come i gusti musicali sono una serie di combinazioni tra identità familiare, luogo di nascita e tendenze musicali proprie di ognuno di noi, così Januka negli ultimi secoli ha toccato le corde delle identità ebraica nel mondo moderno. Ha cavalcato il consumismo di Dicembre, purtroppo, creando spazi per regali ma anche il valore delle riunioni familiari, ha approfittato delle luci altrui rinforzando le luci del popolo ebraico, è servita come festa baluardo a difesa della essenza della identità ebraica anche in quelle case con una identità per così dire “tiepida”. E proprio quelle deboli candele accese in un mondo di luci sfolgoranti sono il simbolo della nostra essenza e forse anche della nostra capacità di sopravvivenza e di reinterpretazione costante di noi stessi. Januka è forse la Laura Pausini delle feste ebraiche: famosa in tutto il mondo, poliglotta ma provinciale, eppure tutti la conosciamo e tutti le dobbiamo essere grati perché per otto giorni ci porta ad accendere le luci della nostra identità.













