Pirateria nel Mar Rosso
Gli Houthi, gruppo terrorista yemenita sostenuto e armato
dall’Iran, in guerra col governo legittimo del loro paese e con l’Arabia
che lo appoggia, hanno sequestrato nel
Mar Rosso una nave mercantile di nome ‘Galaxy Leader’ e hanno pubblicato
abbondanti foto e video di questa operazione, proclamandosi orgogliosi di aver
dirottato una nave che dicono “israeliana”, dato che dicono di aver
dichiarato guerra a Israele per appoggiare Hamas, tentando anche di bombardare
città civili israeliane come Eilat. Peccato che la nave fosse di proprietà di
una società inglese, registrata alle Barbados, in navigazione verso il
Giappone, priva di carico, con un equipaggio internazionale in cui non
figuravano marittimi israeliani. Insomma un atto di pirateria marittima
auto-denunciato in pompa magna e del tutto inutile, anche dal punto di vista
dei fuorilegge che l’hanno realizzato. La pirateria è forse il più antico reato
condannato dalla legge internazionale. Sembrava estinto da un paio di secoli,
grazie all’azione concorde delle marine militari di mezzo mondo, poi è stato
rimesso in uso dall’Iran nel Golfo Persico, dai fuorilegge somali e ora dagli
Houthi nel Mar Rosso. Colpisce l’assenza di reazioni da parte del mondo civile
che si proclama difensore della legalità internazionale, anche perché il Mar
Rosso e lo stretto di Bab el Mendeb su cui si affaccia lo Yemen, sono la
fondamentale via commerciale che collega, passando per il Canale di Suez ed
eventualmente Gibilterra, tutta l’Europa inclusa Gran Bretagna e Germania ed
anche gli Stati Uniti orientali all’Estremo Oriente (Russia e Cina) e alle
fonti petrolifere del Golfo Persico. Se a Sud di Suez si stabilisse un regime costante
di pirateria i rifornimenti industriali, alimentari ed energetici di mezzo
mondo darebbero a rischio. Questo episodio mostra anche il pericolo di
mantenere dei territori in mano ad attori non statali. Gli Houthi come Hamas
fanno le vittime, cercano di farsi tutelare dalla legge internazionale quando
fa loro comodo, ma la violano continuamente in maniera crudele e sistematica:
sono pirati, assassini di massa, violentatori; sparano sulla popolazione civile
dei paesi che considerano nemici, rapiscono, riducono in schiavitù. Ma la tanto
lodata “comunità internazionale”, le commissioni dell’Onu, le Ong che dicono di
proteggere i diritti umani non fanno nulla per fermarli e se qualcuno
interviene con la forza, come sta facendo Israele strillano e protestano. O
addirittura sostengono, come ha fatto qualcuno, che contro gli attori non
statali non vi sarebbe diritto degli stati all’autodifesa.
La fuga dei leader di Hamas
L’operazione di pulizia di Gaza è intanto entrata in una
fase decisiva. Dopo aver ormai conquistata la parte settentrionale e buona
parte di quella centrale della Striscia, le truppe israeliane procedono
sistematicamente a eliminare le istallazioni militari del terrorismo e in
particolare i tunnel. È un lavoro lunghissimo, perché quasi ogni palazzo
nasconde un deposito d’armi, un appostamento per la battaglia, soprattutto una
botola che porta ai pozzi di collegamento con le gallerie. Ed è anche un
impegno molto pericoloso, perché dappertutto potrebbero esserci nemici
appostati, bombe nascoste poste a esplodere, trappole. Ogni giorno in queste
operazioni qualche soldato cade e molti sono feriti. Sono soprattutto gli
ospedali a essere oggetto di queste difficili esplorazioni, perché lì sotto
sono state scavate le istallazioni più importanti del terrorismo e si trovano
anche tracce degli ostaggi. Ci sono informazioni fondate per cui i capi di
Hamas (quelli che stanno a Gaza, non gli altri che danno ordini da comodi
alberghi in Qatar), in particolare il leader politico Yahia Sinwar e quello
militare Mohammed Deif avrebbero usato le gallerie per fuggire da sotto
l’ospedale di Shifa, dove si nascondevano e ora sarebbero nella parte
meridionale della Striscia, insieme a buona parte delle loro forze rimanenti,
che sono ancora consistenti. Il loro progetto potrebbe essere di resistere a
oltranza, ma più probabilmente di rifugiarsi in Egitto, usando i tunnel
transfrontalieri una volta allestiti per il contrabbando e poi per lo più
distrutti dalle autorità egiziane, ma ancora in parte esistenti. Lo farebbero
seguendo la classica regola della guerra asimmetrica, codificata da Mao, che spiega
la loro strategia: “Se il nemico avanza, ritirati; se il nemico si ferma,
disturbalo; se il nemico è stanco, attaccalo; se il nemico si ritira,
inseguilo”. Per riuscirci hanno però bisogno di bloccare l’azione
israeliana.
Le trattative
Per questa ragione sono riprese le trattative: Hamas offre
la liberazione di alcuni ostaggi (a quanto pare una cinquantina di donne e
bambini) in cambio del rilascio di un certo numero di terroristi e soprattutto
di un cessate il fuoco di alcuni giorni (si discute fra i tre e i cinque). I
terroristi pretendono anche che Israele sospenda durante questo periodo i
rilevamenti visivi degli aerei e dei droni, col pretesto che in questo modo il
rilascio degli ostaggi sarebbe più sicuro, ma in realtà è per nascondere i
propri movimenti. Ci sono forti ragioni per spingere Israele alla trattativa,
che continua da tempo con interruzioni, bluff, ricatti. La prima è naturalmente
la richiesta sempre più forte delle famiglie dei rapiti, che sperano di rivedere
i loro cari – ma sarebbero solo una minoranza dei 240 sequestrati. La seconda è
la pressione della comunità internazionale e in particolare degli Stati Uniti.
Ma bisogna essere chiari. La tregua con la liberazione di alcuni ostaggi
sarebbe una vittoria per Hamas; per Israele costituirebbe, se non proprio una
sconfitta, un prezzo ulteriore da pagare ai terroristi in seguito del pogrom
del 7 ottobre. Gli ostaggi sono stati sequestrati proprio per essere scambiati,
per diventare moneta di scambio ed eventualmente scudi umani, come è sempre
accaduto coi terroristi dai tempi di Gilad Shalit e anche prima. La
scarcerazione dei detenuti aumenterebbe la popolarità di Hamas. L’interruzione
dell’offensiva darebbe ai terroristi il tempo di riorganizzarsi per combattere
o fuggire, la vita dei soldati sarebbe più a rischio, vi sarebbe subito
un’ulteriore pressione per allungare la tregua, insomma rischierebbe di
sfuggire lo scopo di questa guerra, l’eliminazione dei gruppi terroristi da
Gaza. E questa sarebbe un trionfo per costoro, secondo le regole della guerra
asimmetrica, dove basta all’attaccante riuscire a sopravvivere per avere vinto
la battaglia. Per questo il primo ministro Netanyahu e il ministro della difesa
Gallant, a quel che si dice, cercano di resistere alle richieste della vecchia
opposizione di sinistra, che è ricomparsa in
piazza in Israele e anche di parti dell’apparato militare. Ma non è
detto che ci riescano a lungo.