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    Spade di ferro – giorno 46. La legge internazionale e le trattative con Hamas

    Pirateria nel Mar Rosso
    Gli Houthi, gruppo terrorista yemenita sostenuto e armato
    dall’Iran, in guerra col governo legittimo del loro paese e con l’Arabia
    che
      lo appoggia, hanno sequestrato nel
    Mar Rosso una nave mercantile di nome ‘Galaxy Leader’ e hanno pubblicato
    abbondanti foto e video di questa operazione, proclamandosi orgogliosi di aver
    dirottato una nave che dicono “israeliana”, dato che dicono di aver
    dichiarato guerra a Israele per appoggiare Hamas, tentando anche di bombardare
    città civili israeliane come Eilat. Peccato che la nave fosse di proprietà di
    una società inglese, registrata alle Barbados, in navigazione verso il
    Giappone, priva di carico, con un equipaggio internazionale in cui non
    figuravano marittimi israeliani. Insomma un atto di pirateria marittima
    auto-denunciato in pompa magna e del tutto inutile, anche dal punto di vista
    dei fuorilegge che l’hanno realizzato. La pirateria è forse il più antico reato
    condannato dalla legge internazionale. Sembrava estinto da un paio di secoli,
    grazie all’azione concorde delle marine militari di mezzo mondo, poi è stato
    rimesso in uso dall’Iran nel Golfo Persico, dai fuorilegge somali e ora dagli
    Houthi nel Mar Rosso. Colpisce l’assenza di reazioni da parte del mondo civile
    che si proclama difensore della legalità internazionale, anche perché il Mar
    Rosso e lo stretto di Bab el Mendeb su cui si affaccia lo Yemen, sono la
    fondamentale via commerciale che collega, passando per il Canale di Suez ed
    eventualmente Gibilterra, tutta l’Europa inclusa Gran Bretagna e Germania ed
    anche gli Stati Uniti orientali all’Estremo Oriente (Russia e Cina) e alle
    fonti petrolifere del Golfo Persico. Se a Sud di Suez si stabilisse un regime costante
    di pirateria i rifornimenti industriali, alimentari ed energetici di mezzo
    mondo darebbero a rischio. Questo episodio mostra anche il pericolo di
    mantenere dei territori in mano ad attori non statali. Gli Houthi come Hamas
    fanno le vittime, cercano di farsi tutelare dalla legge internazionale quando
    fa loro comodo, ma la violano continuamente in maniera crudele e sistematica:
    sono pirati, assassini di massa, violentatori; sparano sulla popolazione civile
    dei paesi che considerano nemici, rapiscono, riducono in schiavitù. Ma la tanto
    lodata “comunità internazionale”, le commissioni dell’Onu, le Ong che dicono di
    proteggere i diritti umani non fanno nulla per fermarli e se qualcuno
    interviene con la forza, come sta facendo Israele strillano e protestano. O
    addirittura sostengono, come ha fatto qualcuno, che contro gli attori non
    statali non vi sarebbe diritto degli stati all’autodifesa.

    La fuga dei leader di Hamas
    L’operazione di pulizia di Gaza è intanto entrata in una
    fase decisiva. Dopo aver ormai conquistata la parte settentrionale e buona
    parte di quella centrale della Striscia, le truppe israeliane procedono
    sistematicamente a eliminare le istallazioni militari del terrorismo e in
    particolare i tunnel. È un lavoro lunghissimo, perché quasi ogni palazzo
    nasconde un deposito d’armi, un appostamento per la battaglia, soprattutto una
    botola che porta ai pozzi di collegamento con le gallerie. Ed è anche un
    impegno molto pericoloso, perché dappertutto potrebbero esserci nemici
    appostati, bombe nascoste poste a esplodere, trappole. Ogni giorno in queste
    operazioni qualche soldato cade e molti sono feriti. Sono soprattutto gli
    ospedali a essere oggetto di queste difficili esplorazioni, perché lì sotto
    sono state scavate le istallazioni più importanti del terrorismo e si trovano
    anche tracce degli ostaggi. Ci sono informazioni fondate per cui i capi di
    Hamas (quelli che stanno a Gaza, non gli altri che danno ordini da comodi
    alberghi in Qatar), in particolare il leader politico Yahia Sinwar e quello
    militare Mohammed Deif avrebbero usato le gallerie per fuggire da sotto
    l’ospedale di Shifa, dove si nascondevano e ora sarebbero nella parte
    meridionale della Striscia, insieme a buona parte delle loro forze rimanenti,
    che sono ancora consistenti. Il loro progetto potrebbe essere di resistere a
    oltranza, ma più probabilmente di rifugiarsi in Egitto, usando i tunnel
    transfrontalieri una volta allestiti per il contrabbando e poi per lo più
    distrutti dalle autorità egiziane, ma ancora in parte esistenti. Lo farebbero
    seguendo la classica regola della guerra asimmetrica, codificata da Mao, che spiega
    la loro strategia: “Se il nemico avanza, ritirati; se il nemico si ferma,
    disturbalo; se il nemico è stanco, attaccalo; se il nemico si ritira,
    inseguilo”. Per riuscirci hanno però bisogno di bloccare l’azione
    israeliana.

    Le trattative
    Per questa ragione sono riprese le trattative: Hamas offre
    la liberazione di alcuni ostaggi (a quanto pare una cinquantina di donne e
    bambini) in cambio del rilascio di un certo numero di terroristi e soprattutto
    di un cessate il fuoco di alcuni giorni (si discute fra i tre e i cinque). I
    terroristi pretendono anche che Israele sospenda durante questo periodo i
    rilevamenti visivi degli aerei e dei droni, col pretesto che in questo modo il
    rilascio degli ostaggi sarebbe più sicuro, ma in realtà è per nascondere i
    propri movimenti. Ci sono forti ragioni per spingere Israele alla trattativa,
    che continua da tempo con interruzioni, bluff, ricatti. La prima è naturalmente
    la richiesta sempre più forte delle famiglie dei rapiti, che sperano di rivedere
    i loro cari – ma sarebbero solo una minoranza dei 240 sequestrati. La seconda è
    la pressione della comunità internazionale e in particolare degli Stati Uniti.
    Ma bisogna essere chiari. La tregua con la liberazione di alcuni ostaggi
    sarebbe una vittoria per Hamas; per Israele costituirebbe, se non proprio una
    sconfitta, un prezzo ulteriore da pagare ai terroristi in seguito del pogrom
    del 7 ottobre. Gli ostaggi sono stati sequestrati proprio per essere scambiati,
    per diventare moneta di scambio ed eventualmente scudi umani, come è sempre
    accaduto coi terroristi dai tempi di Gilad Shalit e anche prima. La
    scarcerazione dei detenuti aumenterebbe la popolarità di Hamas. L’interruzione
    dell’offensiva darebbe ai terroristi il tempo di riorganizzarsi per combattere
    o fuggire, la vita dei soldati sarebbe più a rischio, vi sarebbe subito
    un’ulteriore pressione per allungare la tregua, insomma rischierebbe di
    sfuggire lo scopo di questa guerra, l’eliminazione dei gruppi terroristi da
    Gaza. E questa sarebbe un trionfo per costoro, secondo le regole della guerra
    asimmetrica, dove basta all’attaccante riuscire a sopravvivere per avere vinto
    la battaglia. Per questo il primo ministro Netanyahu e il ministro della difesa
    Gallant, a quel che si dice, cercano di resistere alle richieste della vecchia
    opposizione di sinistra, che è ricomparsa in
     
    piazza in Israele e anche di parti dell’apparato militare. Ma non è
    detto che ci riescano a lungo.

     

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