Il dolore per la guerra che toglie il respiro ai nostri cuori, ogni giorno, ogni momento non deve mai portarci a confondere la sottile e fragile linea che esiste tra bene e male, tra difesa ed offesa, tra guerra per avere un futuro e guerra per distruggere ogni possibilità di futuro. Esiste una profonda differenza nella caduta delle bombe. Può sembrare paradossale, assurdo, ma le bombe non sono tutte uguali, perché le ragioni che lanciano le bombe, a volte, possono essere profondamente diverse e con etiche assolutamente in antitesi. Con la dovuta prospettiva storica il bombardamento di Dresda attuato da Regno Unito e Stati Uniti sull’omonima città della Germania tra il 13 e il 15 febbraio 1945, che fu causa della morte di venticinquemila persone, non può essere giudicato con lo stesso parametro dei bombardamenti di Londra ad opera dell’esercito tedesco tra il 15 ed il 20 settembre del 1940.
Certo Eduardo De Filippo in Napoli Milionaria mi ricorderebbe che: “ E muorte so’ tutte eguale…”, ma le cause di morte no. E chi combatte in una guerra non la fa in nome delle stesse ideologie: Dresda e Londra erano due realtà profondamente diverse, messe in trincee profondamente diverse. In questa ostinata diversità dobbiamo costantemente ritrovare il senso della nostra dignità e della nostra civiltà democratica. Ed è proprio in nome della dignità della lotta per i liberi e pluralisti valori della società alla quale apparteniamo che è difficile comprendere le parole del Pontefice durante una intervista alla televisione svizzera quando, riferendosi al conflitto russo-ucraino ha invitato gli ucraini ad issare bandiera bianca in nome del “coraggio” del negoziato. La bandiera bianca non può mai portare ad un negoziato quando dall’altro lato del conflitto esiste una sopraffazione, una violenza, un vero atto di terrorismo.
Nessuna persona dotata di senso della giustizia e di logica nazionale può essere felice di vivere in un conflitto, ma la guerra che è difesa ha una terribile legittimità etica che non troviamo in un attacco militare di conquista o in una mattanza terrorista impregnata di violenza come quella che Hamas ha compiuto il 7 ottobre. Viviamo tempi nei quali non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo mettere nel calderone del pacifismo, di qualunque colore esso sia, cattolico o laico, di sinistra o destra, le ragioni di una pace che sarebbe una resa, una sconfitta, un debito eterno per le future generazioni.
Se Londra si fosse arresa nel 1940 utilizzando il coraggio della bandiera bianca, cosa ne sarebbe stato di noi oggi? Conosciamo la risposta e per questo non dobbiamo ignorare “il grido di dolore delle vittime delle guerre” – come ha affermato Papa Francesco durante l’udienza generale del 31 gennaio 2024 – ma allo stesso tempo non possiamo accettare che il Papa abbia definito l’attuale conflitto a Gaza come una “guerra tra irresponsabili”, durante la stessa intervista alla televisione svizzera. Perché la vera irresponsabilità è la banalizzazione delle ragioni dei due fronti che si combattono a Gaza: le trincee tra Israele e Gaza non sono uguali, non nascono uguali, non sono ugualmente responsabili. In quella regione il peso della guerra non è lo stesso e non possiamo confondere le differenti responsabilità perché, se cadessimo in questo errore perderemmo il senso stesso della giustizia per la quale lottiamo e della libertà e democrazia per la quale stanno morendo i nostri giovani. Come scrisse Amos Oz: “Perché tutti sanno ormai che quando un bel giorno il trattato di pace sarà realtà, il popolo palestinese avrà molto meno di quello che avrebbe potuto avere cinquantacinque anni fa, cinque guerre fa, centocinquantamila morti fa, i loro morti ed i nostri morti”.
Esiste una seria responsabilità da parte dei popoli che dedicano la loro politica e la loro vita ad una causa piuttosto che ad un’altra ed un facile giudizio buonista non ha mai fatto bene alla storia del mondo. La bontà non può diventare una benda rispetto all’agire, perché solo agendo in nome della giustizia possiamo ricostruire un mondo migliore. È questo il vero grido di dolore che dovremmo ascoltare e che dovremmo proclamare per le strade del mondo: il dolore di questo stesso mondo che confonde vittime e carnefici, che difende i complici di ideologie di distruzione ed offende i difensori di società di libertà.
In questi giorni difficili siamo tutti chiamati ad una lucidità etica che ci permetta di ricordare costantemente questo insegnamento del Talmud (Kiddushin 40a): “Esiste il giusto che è buono ed il giusto che non è buono! Chi è buono verso Dio e verso il prossimo è il giusto che è buono, ma chi è buono verso Dio e cattivo verso il prossimo è il giusto che non è buono. Esiste poi il malvagio cattivo e uno che non lo è. Chi è il malvagio verso Dio e malvagio verso il prossimo è il malvagio che è cattivo, ma chi è malvagio verso Dio, ma non verso il prossimo è il malvagio che non è cattivo”. In questi confini sottili tra bontà, responsabilità, malvagità e cattiveria si nasconde la dignità della nostra esistenza futura.