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    Rino Levi e l’anima ebraica del modernismo

    Nel 1925, con il manifesto Arquitetura e Estética das Cidades,  Rino Levi (São Paulo, 1901) inseriva la questione di una nuova architettura nell’effervescente dibattito sull’estetica modernista delle arti e della cultura brasiliana. Formatosi alla Scuola Superiore di Architettura di Roma e allievo di Piacentini, Levi si rese promotore in Brasile di “uno spirito nuovo, un’architettura di volumi, linee semplici e pochi elementi decorativi”, il razionalismo strutturale, ma con “l’anima brasiliana”:

    “Credo che la nostra rigogliosa vegetazione e tutte le nostre impareggiabili bellezze naturali possano e debbano suggerire qualcosa di originale ai nostri artisti, donando alle nostre città una grazia di vivacità e colori, unica al mondo”.

    (Rino Levi)

    Nelle sue case, chiuse verso l’esterno, creava sale aperte sul cortile con giardino, simulando patii interni e riproducendo, nell’ambiente domestico, la natura brasiliana.

    (Residencia Castor Delgado Perez)

               

    (https://www.archdaily.com.br/br/766189/classicos-da-arquitetura-residencia-castor-delgado-perez-rino-levi)

    Levi, a cui è dedicata la mostra “L’immagine Moderna delle Città” (Ambasciata del Brasile, fino al 14/09), raggiunse l’innovazione estetica attraverso la sintesi tra arti visuali, architettura, urbanistica e paesaggismo. Si distinse anche per l’attenzione al benessere e confort ambientale dei fruitori e l’utilizzo di soluzioni tecniche, come frangisole e mattoni di vetro, per il controllo delle relazioni tra luce solare, calore e acustica senza uso di apparecchiature elettriche, tema, oggi, di grande attualità.  Considerato uno degli artefici della verticalizzazione di São Paulo, con il suo studio Rino Levi Arquitetos Associados, collaborò per la realizzazione del progetto industriale di modernizzazione del paese promosso da intellettuali e grandi imprenditori, tra cui Roberto Simonsen che lo ingaggiò per la Companhia Construtora de Santos.

      

    (Da sinistra: “Banco Sulamericano” nel 1961, attuale Banco Itaú e dettagli dei frangisole)

    Come Levi, Gregori Warchavchik (Odessa, 1896) trovò in Brasile il “terreno preparato” per la realizzazione delle sue idee e dei suoi sogni: nel ’28 costruì la prima casa modernista, o “macchina da abitare”, secondo il concetto funzionalista di Le Corbusier.

                                                            

                    (Gregori Warchavchik)                                                               (Prima casa modernista)

    Anche i giardini, progettati dalla moglie Mina Klabin, presentarono una grande novità: l’uso ornamentale di piante autoctone brasiliane, tra cui i cactus, al posto di bossi e rose europee. Il nazionalismo botanico di Mina ispirò i giardini acquatici di Burle Marx (São Paulo, 1909), il cui nonno era cugino di Carl Marx, e lo influenzò nelle ricerche di nuove specie con potenziale ornamentale e nella visionaria difesa della foresta tropicale. Nasceva così il paesaggismo modernista in Brasile.

    Il movimento modernista brasiliano e la lontananza dall’Europa antisemita permisero l’espressione e la sperimentazione a molti artisti ebrei, tra cui Lasar Segall (Vilna, 1889) che portò l’espressionismo in Brasile nel 1913, prima di dedicarsi al cubismo e al modernismo, fondando, insieme al cognato Warchavchik, la Sociedade Pró-Arte Moderna nel ‘32.

                                            

                (Rolo de Torá)                                                              (Lasar Segall) 

    Nonostante la presenza di temi ebraici in opere come il Rolo de Torá del 1922, in cui rappresenta il proprio padre sofer, Segall non credeva, al contrario di Martin Buber, all’idea di un’arte ebraica, considerando l’arte un’espressione umana universale: “Quando ci fermiamo davanti a un dipinto di un artista ebreo, sentiamo la specificità ebraica nel senso ampio e profondo della parola. Che cosa è tipicamente ebraico? È del tutto possibile che sia il profondo sentimento umano”.

    (Da sinistra: Progrom 1937; Navio de imigrantes 1939-41; Êxodo II 1949 – Museu Lasar Segall, SP)

    Non esisterebbe, quindi, l’arte ebraica, ma l’anima ebraica nell’arte? La rappresentò poeticamente la scultrice Fayga Leirner: “Nei giardini delle mie sculture, la gente passa (…) e chiede: (…) sei tu che hai fatto tutto questo? E io, imbarazzata, rispondo a bassa voce: non sono stata la sola, eravamo in tanti”.

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