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    16 ottobre ’43: da ostaggi a “Stücke” – Il destino di 1023 ebrei romani

    Martedì 19 ottobre 1943, Padova. Il convoglio di 28 carri bestiame in cui sono stati stipati gran parte degli ebrei rastrellati a Roma tre giorni prima, sta per lasciarsi alle spalle anche lo scalo merci della città fondata da Antenore. I binari sui quali il locomotore viene instradato non sono quelli che conducono verso il passo del Brennero e la linea Innsbruck-Salisburgo-Linz, bensì quelli che portano al valico di Tarvisio e alla direttrice Vienna-Cracovia. Il viaggio del convoglio contrassegnato dalla sigla X70469, partito dalla stazione di Roma-Tiburtina la sera del 18 ottobre, non avrà come capolinea il campo di concentramento di Mauthausen, ma quello di sterminio Auschwitz-Birkenau.

    A conti fatti, settantadue ore si sono dimostrate più che sufficienti per decidere del destino di 1023 persone (tra cui un neonato nato da appena tre giorni), trasformatesi da preziosa merce di scambio in inutile prodotto di scarto.

    A indurre a questa conclusione sono alcuni documenti noti da tempo, ma raramente inquadrati nella loro giusta prospettiva.

    Il primo documento a finire sotto la lente d’ingrandimento è la lettera che, l’8 ottobre 1943, Franz von Sonnleithner, consigliere del Reichsaussenminister Joachim Ribbentrop, scrive all’incaricato degli affari ebraici del ministero degli Esteri del Reich, Eberhard von Thadden. E da quest’ultimo, subito trasmessa alla sede dell’ambasciata tedesca a Roma.

    Il ministro degli Esteri del Reich, si legge tra le altre cose, «chiede che l’ambasciatore Rahn e il console Moellhausen siano informati che, secondo gli ordini del Führer, gli ottomila ebrei che vivono a Roma devono essere trasferiti a Mauthausen (Alto Danubio) come ostaggi». Notizia sostanzialmente confermata dal fonogramma che, alle ore 22 del 18 ottobre, la Questura di Roma trasmette al ministero dell’Interno italiano. «Oggi alle 14 – riporta il documento – il treno DDA è partito dalla stazione Tiburtina con 28 vagoni pieni di ebrei (circa mille), comprese donne, bambini e uomini, diretti al Brennero. Non ci sono stati incidenti.»

    Un ulteriore indizio è fornito dalla testimonianza di un ferroviere di Padova secondo il quale il treno dei deportati fu instradato sulla linea che conduce al valico di Tarvisio. Certo invece è che, il 20 ottobre, il passaggio del treno è segnalato a Vienna («i prigionieri domandavano acqua», avrebbe riferito l’ambasciatore di Argentina presso il Quirinale ad un amico di «razza ebraica» il 25 ottobre). Il resto della storia è purtroppo noto: a sopravvivere al primo convoglio di ebrei italiani spediti ad Auschwitz saranno soltanto 15 uomini e una donna.

    Più complesso da ricercare è il motivo del cambio di destinazione del trasporto: non più il Konzentrationslager Mauthausen ma il Vernichtungslager Auschwitz-Birkenau.

    La scelta di Mauthausen era dettata – è ipotizzabile – dal timore di una reazione di Pio XII, indignato per l’affronto subito proprio sotto le finestre della sua residenza. Invece reazioni, finalizzate alla liberazione di quelli che, fino al 19 marzo, i nazisti consideravano degli «ostaggi», non ve ne furono da parte della Santa Sede. Difatti, il lunedì mattina, mentre il treno dei deportati era ancora parcheggiato nello scalo merci della stazione Tiburtina, alla porta della segreteria di Stato Vaticana, dove si trovava monsignor Montini, bussava padre Giancarlo Centioni, cappellano della Polizia della Città aperta di Roma. Centioni, riferisce Montini, «mi ha detto di essere in strette relazioni con un sacerdote tedesco, attualmente cappellano degli SS e residente in Roma. Detto cappellano tedesco ha fatto al padre Centioni delle confidenze rivelandogli anche alcune impressioni assai sfavorevoli degli ambienti militari tedeschi, specialmente per quanto riguarda l’avvenuta deportazione degli ebrei di Roma e l’assenteismo dell’autorità ecclesiastica in questo triste fatto.»

    «Sua Santità ha fatto ciò che poteva», la risposta piccata del futuro Paolo VI.

    Già, cosa ha fatto?

    A riferirlo indirettamente è l’ambasciatore del Reich von Weizsäcker che, il 28 ottobre, relaziona sugli eventi capitolini al ministero degli Esteri a Berlino: «Il Papa benché sollecitato da diverse parti, non ha preso alcuna posizione dimostrativa contro la deportazione degli ebrei da Roma. […] egli ha fatto di tutto anche in questa situazione delicata per non compromettere il rapporto con il Governo tedesco e con le autorità tedesche a Roma». Per i nazisti la questione è chiusa. Anche per i 1023 ebrei romani, da «ostaggi» declassati alla categoria di “Stücke”. Pezzi inanimati, da utilizzare – 1007 di loro – per alimentare i forni di Birkenau.

    Il 24 gennaio esce in libreria “La croce e la svastica” (D’Amico editore) di Nico Pirozzi e Ottavio Di Grazia.

     



    In copertina il documento originale inviato all’Ambasciata tedesca a Roma il 9 ottobre del ’43 dove si fa riferimento a Mauthausen.

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