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    “La storia del Dottor Maglio entra nella mia vita” – Intervista a Flavio Insinna

    Tra i personaggi del mondo dello spettacolo noti per il loro impegno sociale e la solidarietà c’è certamente Flavio Insinna. Lo showman è molto riservato su questi temi, non ama essere sotto i riflettori per le sue opere di beneficenza, a meno che questo non sia utile per sensibilizzare il pubblico. Secondo Insinna aiutare gli altri significa adempiere a un dovere e migliorare il mondo, una filosofia di vita molto vicina all’ebraismo. Un dovere che il conduttore porterà anche in tv, questa volta però come attore. Interpreterà infatti il personaggio di Antonio Maglio, il medico che con il neurologo ebreo Ludwig Guttmann inventò le Paralimpiadi, nel film tv “A muso duro”, in onda il 16 maggio in prima serata su Rai 1. «Questa storia entra nella mia vita» ha spiegato Insinna a Shalom che l’ha intervistato.

     

    Flavio Insinna, lei dedica gran parte della sua attività alla beneficenza. Che posto ha nella sua vita questo impegno?

    Vivo in una comunità con diritti ma soprattutto con doveri, tra cui quello morale di aiutare. Me lo ha insegnato la mia famiglia sin da bambino: non si vive da soli e c’è sempre qualcuno che ha bisogno di una mano. Io sono fortunato e questa fortuna non è giusto tenerla tutta per me. Siamo una comunità e dobbiamo ritrovarne il senso, specie in un periodo così complesso. Faccio un mestiere che prevede i riflettori che si accendono su di noi. Quelle cose hanno un senso se poi fai per gli altri. E lo fai perché è giusto.

     

    Crede che aiuti essere un personaggio del mondo dello spettacolo nell’attività di sensibilizzazione della società civile su questi temi?

    Il mestiere che faccio mi dà l’occasione di sostenere campagne di solidarietà anche nel programma che conduco, l’Eredità. È un’occasione importante per dare la possibilità agli altri di riflettere ed agire. Vivessimo in un mondo perfetto, non ce ne sarebbe bisogno, ma purtroppo non è così.

     

    Viviamo un momento molto difficile e di grande incertezza. L’empatia, contribuire al benessere altrui, possono aiutarci a guardare al futuro? Crede che le iniziative dei singoli possano essere una valida integrazione alle politiche di Welfare delle istituzioni?

    Il futuro? C’è da costruire il presente. Io credo alle persone di buona volontà che adesso si rimboccano le maniche e costruiscono il presente, per chi è in difficoltà. Bisogna sentire sulla propria pelle il dolore degli altri. Mio padre era un medico, non particolarmente credente, ma l’ho visto sempre spendersi per gli altri, all’insegna delle sue convinzioni, ovvero curare le persone con scienza e coscienza. In un mondo perfetto, la politica, le istituzioni farebbero tutto. Viviamo una grande crisi, e non possiamo aspettare che facciano tutto le istituzioni.

     

    Secondo l’ebraismo la beneficenza è un atto di giustizia, che serve a riparare e riequilibrare il mondo. Crede sia così?

    Secondo me il mondo non è tondo, anzi è pieno di spigoli, soprattutto per le persone più indifese, che non hanno tanti mezzi, per questo lo dobbiamo lasciare un po’ meglio di come l’abbiamo trovato.

     

    Sappiamo che lei è molto riservato nelle sue donazioni ed opere di beneficenza. Le possiamo chiedere il motivo della sua riservatezza?

    Tante cose che ho fatto non si sanno, altre si: non ho mai ostentato niente, però se qualcosa si viene a sapere, e magari una persona segue l’esempio, sono felicissimo.

     

    Nel film tv A muso duro lei interpreta Antonio Maglio, il medico che con Ludwig Guttmann ideò le Paralimpiadi. Maglio e Guttmann diedero uno strumento importantissimo ai disabili. Loro furono inventori di futuro.

    Ci sono alcune persone visionarie, dei geni, che riescono a cambiare il mondo perché lo guardano in maniera diversa. Sia il dottor Maglio che il dottor Guttmann hanno voluto vedere le cose in un’altra maniera e poi hanno costruito un mondo diverso per i disabili. Una vita diversa rispetto a quella vissuta prima di un trauma, prima di fare i conti con la disabilità, ma un altro tipo di vita, dove devi avere nuove occasioni di lavoro, di vita sociale, tornare ad amare, a farti una famiglia, e lo sport è sempre uno strumento, un mezzo straordinario, un grimaldello incredibile, per aprire le porte, includere le persone, farle stare insieme, non lasciarle sole. La solitudine è una condanna che mi fa paura. E loro, il dottor Maglio e il dottor Guttmann, hanno trovato una chiave straordinaria, lo sport, per dare nuova passione a persone la cui vita sembrava finita. Io sostengo anche una squadra di basket in carrozzina, che gioca nella clinica Santa Lucia di Roma, è un mondo che conosco bene.

     

    Che cosa ha pensato e provato studiando la loro storia dei due medici? E nell’interpretazione del personaggio di Maglio?

    Per me è molto emozionante essere in questo film. Mio padre per un periodo ha lavorato e ha collaborato nella clinica Santa Lucia, dove io da bambino sicuramente ho sfiorato il dottor Maglio, perché mio papà mi portava a vedere le partite di basket in carrozzina. Ho avuto la fortuna di andare da bambino alle Paralimpiadi, in Canada, come premio per la promozione a scuola e mio padre mi disse “sarai il mio piccolo assistente”. Già a 9 e a 10 anni entrare in quel mondo ti fa cambiare il modo di vedere le cose. Adesso, a 56 anni, essere in quei panni, con quel camice da medico è stata un’esperienza straordinaria, con un regista fantastico, Marco Pontecorvo. È una storia che mi ha coinvolto perché entra nella vita mia e della mia famiglia. Ho cercato di rendere omaggio a questo personaggio straordinario, il dottor Maglio. All’improvviso la vita, quella vera, si fonde con la finzione, non si capisce più dove finisca una e inizi l’altra.

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