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    “Vedere la Roma ebraica e la sua vitalità mi rende orgoglioso di essere ebreo” – Intervista a Jonathan Safran Foer

    È un caldo venerdì mattina nel cuore del quartiere ebraico, i colori autunnali accarezzano la zona dell’ex ghetto, le persone si apprestano a fare le ultime frenetiche compre per l’imminente arrivo dello Shabbat, e in questa cornice Shalom accoglie un sorridente Jonathan Safran Foer, a Roma per intervenire a “Più Libri Più Liberi”, presso il centro congressi la Nuvola. Lo scrittore americano, noto per i suoi bestseller “Ogni cosa è illuminata” (Guanda) e “Molto forte, incredibilmente vicino” (Guanda) fino alle recenti pubblicazioni di “Possiamo salvare il mondo prima di cena” (Guanda) “Perché il clima siamo noi” (Guanda), testimonianze tangibili della sua sensibilità e del suo impegno costante nei confronti dei i temi ambientali, rappresenta una delle voci più acclamate della sua generazione. La nostra è stata un’intesa mattinata con lo scrittore statunitense, prima all’interno del Museo Ebraico di Roma e poi nel quartiere ebraico, per guidarlo e mostragli i luoghi più significativi della Roma ebraica. Foer ha raccontato a Shalom molto di sé, ma soprattutto molto della sua identità ebraica.

     

    Proprio oggi ha avuto modo di vedere e comprendere la storia della Comunità Ebraica di Roma, cosa ne pensa così, a primo impatto?

     

    La mia potrebbe essere una risposta strana, ma tutto questo mi ha ricordato cosa significhi essere ebreo, il che è qualcosa che è, a volte, sorprendentemente facile da dimenticare. Ma è qualcosa che i miei genitori non potrebbero mai dimenticare, i miei nonni non potrebbero mai dimenticare, e così i miei bisnonni. Io sono stato fortunato, grazie a quello che prima i miei nonni, e poi i miei genitori, hanno fatto. C’è qualcosa di molto forte nell’essere parte della storia ebraica, ed io mi sento parte di tutto ciò. Abbiamo detto più volte nel corso di questa mattinata che questa è una piccola comunità, circa 13.500 persone, ma la verità e tutto il mondo ebraico è una piccola comunità. E mi sento molto grato di farne parte. Essere qui, vedere questa Comunità e il suo ebraismo così vivo mi rende orgoglioso di essere ebreo, di far parte di questa costellazione.

     

    Lei è ospite alla Nuvola per parlare con gli studenti dell’emergenza climatica e dell’importanza della letteratura. Qual è la sua idea in merito a questi temi?

     

    Beh, per coloro che non lo avessero capito il mondo è davvero un luogo spaventoso. Avrete notato quante domande io stesso ho posto nel corso di questa mattinata insieme, in un modo e nell’altro hanno molto a che fare con la paura. Spesso ascoltando la storia di questa comunità e la sua resilienza ho pensato “io non sarei rimasto, non capisco queste donne sedute sulle panchine dopo aver vissuto le atrocità della guerra, non capisco le vostre famiglie”. Ma la verità è che non ci sono altri luoghi dove andare, non possiamo correre per sempre. Non c’è un numero illimitato di luoghi per gli ebrei dove andare e neppure per gli esseri umani in generale. A volte dobbiamo fare del luogo in cui viviamo la nostra casa, anche se alcune forze ci sono avverse. Io stesso a volte mi sento disperso, ma paradossalmente vedere queste persone anziane sedute lì, conoscere la storia delle vostre famiglie, ma soprattutto, il modo attraverso cui avete affermato il vostro diritto a vivere in questa città è stato estremamente illuminante per me. Dunque, quando parlo ai giovani, cosa che amo, perché rappresentano il mio pubblico preferito, spero di riuscire a trasmettere un equilibrio, un significato di cosa voglia dire sentirsi “dispersi”. Di far capire loro quanto importante sia partecipare, insistere, far sentire la propria voce, ma soprattutto “riparare ciò che è rotto” qualcosa di davvero ebraico, per come la vedo io, il “Tikkun Olam”.  Ci sarà sempre qualcosa di rotto, ma non bisogna smettere di riparlarlo e migliorarlo.

     

    Cosa l’ha colpito maggiormente di quello che ha visto oggi?

     

    Mia nonna originaria della Polonia, riuscì a sopravvivere alla Shoah. Lei era solita dire “gli ebrei non scelgono di essere ebrei, ma sono i nazisti a decidere chi lo è” ed era solita dirlo a suo nipote, un uomo completamente assimilato. Io ho avuto il lusso, vivendo in America, di scegliere la mia identità, di scegliere se essere credente o no. Ma probabilmente, mi rendo conto ora, che non è neppure così vero. Il punto è che non è possibile scegliere, fa parte di te. C’è una combinazione di due forze, che agiscono allo stesso tempo, tu sei ebreo a prescindere dallo scegliere se esserlo o no, ma al contempo hai anche una scelta. Questo equilibrio si percepisce nettamente qui, in questa comunità, l’assenza di scelta ma anche le prove del fatto che avete scelto la vostra identità ebraica. E sono grato, che mi abbiate ricordato cosa significhi.

     

    Quali sono ad oggi i suoi progetti per il futuro?

     

    Attualmente sto lavorando a molte cose. Lavoro ad uno show televisivo che parla di un uomo che a cinquant’anni decide di diventare Rabbino. Un progetto partito come una commedia, ma che in realtà non è proprio una commedia. Mi sono sentito fortemente demoralizzato negli ultimi due anni nel raccontare l’ebraismo, questo perché l’antisemitismo è diventato una vera urgenza negli ultimi anni, forse come non l’ho mai percepito prima d’ora. Sento ora, come credo ogni persona ebrea coinvolta, una sorta di urgenza nel mettere le persone al corrente della realtà, di diffondere informazioni corrette, partecipare e come dicevamo prima fare “tikkun olam”. Come scrittore, posso godere dell’occasione unica di essere attivo, so che se pubblico un libro o realizzo uno show televisivo ho la possibilità di comunicare con il mio pubblico. Con la mia scrittura, sto pensando ultimamente, anche se non ho mai scritto di politica perché non penso sia la strada giusta per fare arte, vorrei scrivere delle mie preoccupazioni sul mondo e sull’ebraismo. Sto cercando di capire come fare, come dar forma a tutto questo, in maniera tale che la gente possa trarne beneficio ma al contempo comprendere. È importante trovare una soluzione attraverso l’arte, perché in questo momento gli ebrei sono stranieri, ed è proprio questo essere stranieri che genera odio dal profondo. Perché sono le persone che non conoscono gli ebrei ad odiarli, bisogna dunque insegnare al mondo a conoscere di più l’ebraismo.

     

    Sua nonna originaria della Polonia, è riuscita a sopravvivere alla Shoah. Proprio la scorsa settimana c’è stata una manifestazione nella piazza di Kalisz, a 250 chilometri a est di Varsavia, in cui i manifestanti hanno gridato “morte agli ebrei!”. Cosa pensa di tutto ciò?

     

    Quando andai in Polonia, non lo dissi a mia nonna. Sapevo che lei non mi avrebbe mai permesso di andarci. Ci sono persone cattive e persone buone dovunque, credo tuttavia che l’errore che si rischia di fare è quello di sopravvalutare o sottovalutare l’odio. Da una parte potrebbero essere dovunque persone che bruciano libri o gridano frasi antisemite, dall’altra, innegabilmente, sta crescendo in maniera rapida e preoccupante, una nuova forma di antisemitismo, che ha delle origini molto antiche ed è forse indistruttibile in Europa. Credo che questa sia la sfida oggi, ebrei o no, di combattere contro tutto ciò.

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