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    ”La Germania rifiutò l’aiuto di Israele e fece il doppio gioco” – Intervista a Shaul Ladany, sopravvissuto al massacro delle Olimpiadi di Monaco ’72

    È sopravvissuto alla Shoah, al Massacro di Monaco del 1972 e ha combattuto tre guerre come ufficiale dell’esercito israeliano. Shaul Ladany ha una storia unica. A 86 anni, il marciatore israeliano è come se avesse vissuto più vite, invece di una sola.

    Nato a Belgrado il 2 aprile 1936, Ladany, dovette abituarsi a spostarsi rapidamente da un posto all’altro sin da piccolo. Fuggiti dalla Serbia nel 1941, a soli 5 anni, Ladany e la sua famiglia si stabilirono a Budapest. Ma la ferocia nazista lo raggiunse anche nella capitale magiara, e nel luglio 1944 venne deportato a Bergen-Belsen. Nel dicembre 1944 venne liberato dagli Alleati e si trasferì in Svizzera con quello che rimase della sua famiglia. Proprio tra le Alpi, Ladany riprese la scuola e sviluppò una passione per la camminata e la marcia, che è viva ancora oggi.

    Dopo aver fatto l’Aliyah nel 1948 con la sua famiglia e aver combattuto nella guerra del Canale di Suez nel 1956, Ladany decise di trasferirsi negli Stati Uniti. Ma l’amore per lo Stato Ebraico lo portò a tornare nel 1967 per combattere durante la Guerra dei Sei Giorni. “Riuscii a tornare in Israele per combattere da volontario senza essere chiamato, lasciando mia moglie a New York. E il secondo giorno di guerra, ero già nel deserto del Sinai” racconta a Shalom Shaul Ladany.

    In occasione del 50esimo anniversario dall’assassinio degli 11 atleti israeliani per mano dei terroristi di Settembre Nero alle Olimpiadi di Monaco ‘72, insieme a Ladany abbiamo ripercorso quanto successe quella notte e discusso di quanto si stia effettivamente facendo per onorare la memoria di chi è stato barbaramente ucciso a causa dell’odio antisemita.

     

    I sopravvissuti alla Shoah per molti anni sono stati restii a tornare in Germania. Cosa la spinse a partecipare alle Olimpiadi di Monaco?

     

    Decisi di partecipare per mostrare al mondo e alla Germania che noi eravamo ancora qui e in grado di competere allo stesso livello del resto del mondo come cittadini dello stato indipendente d’Israele.

     

    Cosa successe quella notte, come riuscisti a scappare dai terroristi di Settembre Nero?

     

    Bisogna iniziare dalla sera del 4 settembre. Fummo invitati alla messa in scena al Teatro di Monaco di “Fiddler on the Roof” di Sholem Aleichem, dove l’attore principale era un famoso attore israeliano, Shmuel Brodsky. L’attore ci chiamò nel backstage per farci una foto tutti insieme, quella fu la mia ultima foto con loro.

     

    Una volta tornati negli appartamenti, Moshe Weinberg, soprannominato Monie, mi chiese di prestargli la sveglia. Gliela diedi e andai in mensa; all’una i terroristi fecero irruzione nel suo appartamento, il numero 1.

     

    Io mi trovavo nel numero 2, insieme ad altri 5 membri della delegazione. Andai a dormire verso le 3, ma alle 5:30 venni svegliato da Zelig Storch, che mi disse: “Monie è stato ucciso dagli arabi”. Non appena aprii gli occhi, vidi il mio coinquilino seduto sul suo letto che si stava vestendo. Io mi misi le scarpe da camminata, ma rimasi in pigiama. Andai alla porta d’ingresso principale dell’appartamento che si apriva all’interno, e non notai alcuna violenza. Ad un certo punto vidi, a circa 4 metri alla destra del mio appartamento, una persona con un cappello alla moda e la pelle scura. Non mi vide perché stava parlando con il personale del Villaggio Olimpico. Una di loro chiese al terrorista di far entrare la Croce Rossa, ma lui rifiutò. Cercò di convincerlo e disse: “Dovresti essere umano”. E lui rispose: “Gli ebrei non sono umani”. A quel punto capii che stava succedendo qualcosa di grave. Più avanti scoprii che quell’uomo era Issa, il capo del gruppo terroristico.

     

    Una volta rientrato nell’appartamento, salii al piano di sopra e vidi i miei compagni completamente vestiti. Quando chiesi loro cosa fosse successo, spostarono la tenda e indicarono l’altro appartamento. Vidi delle macchie di sangue, erano di Monie. A quel punto decidemmo di fuggire. Scendemmo la scala a chiocciola che portava alla mia camera e aprimmo la finestra che dava sulla terrazza.

     

    Gli altri si misero in salvo, mentre io decisi di avvertire il capo della missione nell’appartamento 5. Per farlo dovetti camminare lungo la ringhiera dell’edificio. Una volta arrivato, bussai alla finestra di Larkin, il capo della missione, che aprì e mi fece entrare. Già sapeva cosa stesse accadendo. Informammo il capo del Comitato Olimpico israeliano e lasciammo l’appartamento dal retro. Una volta arrivati al piano interrato dell’edificio incontrammo diversi poliziotti armati che ci indirizzarono al quartier generale del Villaggio Olimpico.

    Trent’anni dopo la Shoah, lei fu di nuovo testimone dell’odio antisemita in Germania, anche se per mano del terrorismo palestinese. Che cosa provò in quel momento, capendo di non essere considerato “umano” dai terroristi che la stavano cercando?

     

    A quel tempo avevo 36 anni, ero un professore all’università di Tel Aviv e avevo partecipato a diverse guerre. Ho affrontato le atrocità non solo durante la Shoah. 

    Negli anni ’70 i terroristi arabi cominciarono ad attaccare in diversi luoghi gli aerei israeliani e i passeggeri israeliani negli aeroporti. Quindi noi eravamo consci del fatto che era rischioso viaggiare.

    Tuttavia, rimasi sorpreso che questo potesse succedere alle Olimpiadi.

    Non avevo paura però, speravo solamente che anche i miei compagni di squadra potessero uscire vivi da quella situazione.

     

    La Germania commise evidenti errori nel tentare salvare gli 11 atleti presi in ostaggio dal commando palestinese. Perché non riuscirono a salvare i suoi compagni?

     

    Le autorità tedesche si sono prese la piena responsabilità nel cercare di liberare gli ostaggi. Spinte dal loro orgoglio, rifiutarono l’aiuto di Israele e i vari consigli del capo del Mossad. Per tentare di salvare gli atleti israeliani, erano disposti a fare un doppio gioco: da una parte si stavano accordando con i terroristi per mandarli in un paese arabo insieme agli ostaggi, e allo stesso tempo, a loro insaputa, stavano pianificando il loro piano per cercare di liberare gli israeliani con la forza. Tuttavia, le forze dell’ordine tedesche erano composte da volontari, totalmente impreparate, erano degli schlemiel (creduloni).

     

    E, nonostante ciò, pochi mesi dopo liberarono tre dei terroristi del Massacro di Monaco…

     

    Non ha nulla a che fare il tentativo di liberazione da parte delle autorità tedesche degli ostaggi olimpici israeliani; tuttavia, la Germania ha fatto qualcosa di terribile accordandosi per il rilascio dei terroristi in cambio di non coinvolgimento della popolazione tedesca in eventuali futuri attentati.

     

    Nel ’72 non vennero fermati i Giochi. Il Comitato Olimpico Internazionale per commemorare i suoi compagni di squadra ha impiegato 49 anni. Tuttavia, cosa ha provato nel vedere alla Cerimonia di Apertura delle Olimpiadi di Tokyo il minuto di silenzio?

     

    La decisione del CIO non interrompere i Giochi Olimpici la reputo giusta. Se li avessero cancellati, Israele sarebbe stato accusato da tutti per non aver dato la possibilità agli atleti di competere dopo essersi allenati per molti anni.

    Tuttavia, accuso il Comitato Olimpico per non aver commemorato prima i miei compagni di squadra. Potevano essere onorate come vittime dei Giochi Olimpici, senza nominare lo Stato d’Israele, ma non è stato fatto e si sono rifiutati di farlo fino a quando il presidente del CIO Bach ha deciso di onorare la loro memoria a Tokyo. Sono contento che sia accaduto, ma spero che questa diventi una tradizione.

     

    A settembre il governo tedesco organizzerà una cerimonia per il 50esimo anniversario. Alcuni familiari delle vittime hanno minacciato il boicottaggio dell’evento, chiedendo al presidente Herzog di non andare. Che cosa ne pensa della vicenda?

     

    Credo sia giusto ciò che chiedono le famiglie delle vittime, hanno il diritto di avere un maggior risarcimento. Qual è la giusta somma? Non te lo so dire, ma è giusto che ricevano un risarcimento congruo. Spero che riescano a trovare un accordo accettabile per entrambe le parti. Tuttavia, è una questione che riguarda le famiglie e il governo tedesco, e basta.

    Un boicottaggio generale da parte del Comitato Olimpico israeliano e dello Stato d’Israele, nella persona del presidente Herzog, credo sia sbagliato.

    Cosa la spinge a raccontare la sua testimonianza?

     

    Il mio desiderio è che il mondo non dimentichi quello che è successo durante la Shoah, e il punto di partenza è l’educazione dei giovani, sono loro che faranno sì che ciò non possa ripetersi. Non vivrò ancora per molti anni. Ho 86 anni. Quindi devo raccontare la mia storia, farla conoscere. Per quanti anni le testimonianze avranno un impatto? Non lo so.

     

    Secondo lei, gli eventi di Monaco ‘72, sono ricordati abbastanza o c’è ancora tanto lavoro da fare?

     

    I Giochi Olimpici di Monaco furono molto pubblicizzati e ci fu un’enorme concentrazione dei media. Ciò che accadde in quei giorni, quindi, ebbe una grossa risonanza, ma ovviamente le cose tendono ad essere dimenticate.

    In occasione del 50esimo anniversario so che ci saranno molti film e così via, questo farà sì che ciò che è accaduto venga ricordato a lungo.

     

    Come si è sentito guardando la squadra israeliana vincere l’oro nella maratona agli Europei di atletica di Monaco, 50 anni dopo il massacro?

     

    Ero molto felice, abbiamo fatto vedere al mondo che possiamo competere con tutti allo stesso livello. Sono molto orgoglioso.

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