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    Cent’anni dalla morte di Eliezer Ben Yehuda, che ha fatto rivivere la lingua ebraica

    Una rinascita sorprendente

    E’ appena trascorso, senza quasi essere notato, un anniversario importante per la cultura ebraica contemporanea. Venerdì scorso cadeva infatti il centenario della morte di Eliezer Ben Yehuda, l’uomo che più di ogni altro è stato determinante nella rinascita della lingua ebraica. L’ebraico non era mai morto del tutto, come è accaduto all’etrusco o al sumero, ma già da alcuni secoli prima dell’Era Comune non era più usato nella vita quotidiana, era difficilmente compreso dal popolo, che parlava invece un dialetto dell’aramaico, lingua imperiale del Medio Oriente antico. E se la Scrittura è formulata in ebraico (solo con qualche inserto aramaico qua e là) e anche la Mishnà lo è, invece la Ghemarà, lo strato più recente del Talmud scritto fra il secondo e il settimo secolo, è invece in aramaico. Nella diaspora gli ebrei hanno continuato a usare l’ebraico come lingua sacra per il culto e (insieme all’aramaico) come strumento di discussione intellettuale. Ma a casa parlavano yiddish, ladino, giudeo-arabo, i vari linguaggi misti come in Italia il giudeo-romanesco, veneziano o piemontese. Durante il XIX secolo i maskilim, esponenti dell’illuminismo ebraico, incominciarono a pubblicare libri e giornali in ebraico, ma solo per argomenti politici e culturali. Herzl stesso era convinto che nel nuovo stato ebraico si sarebbe parlato una lingua europea, magari il tedesco, mentre altri pensavano allo yiddish. Se ciò, contro tutte le aspettative,  non avvenne, il merito fu soprattutto delle ricerche lessicografiche e della battaglie politiche di Eliezer Ben Yehuda.

     

    Gli inizi della vocazione

    Nato col nome di Eliezer Isaac Perelman Elianov il 7 gennaio 1858  a Luzhky (Governatorato di Vilna, allora Impero russo, oggi in Bielorussia) da una coppia di chassidim del movimento chabad, rimasto orfano di padre a cinque anni, Eliezer segue il tradizionale corso di  studi in una piccola scuola talmudica a Polatsk, sempre in Bielurussia. Qui però viene in contatto con i libri e le idee del modernismo ebraico e non vuole rinunciarvi: per questo viene espulso. Lo salva un uomo di affari chassidico, Samuel Naphtali Herz Giona, di cui sposerà prima la figlia maggiore Deborah e poi, dopo la morte di lei, l’altra figlia Chemda. Protetto e aiutato da Hertz, Eliezer ottiene la licenza ginnasiale russa, impara le lingue europee, inizia a scrivere degli articoli politici, vuol fare il medico. E’ molto colpito dalla guerra di liberazione della Bulgaria contro i turchi, si convince che anche il popolo ebraico debba liberarsi, conquistando la sua terra e che per questo gli ebrei abbiano innanzitutto bisogno di tornare alla loro lingua. Per studiare medicina si trasferisce nel 1877 a Parigi, dove entra in contatto con gli ambienti protosionisti. Si ammala però gravemente di tubercolosi e decide di sposare Deborah e di trasferirsi con lei a in Terra di Israele, per guarire col clima più caldo o per morire lì.

     

    Da Pereleman a Ben Yehuda

    A Gerusalemme fa il giornalista e l’insegnante alle scuole istituite dalla famiglia Rotschild, ma il rinnovamento dell’ebraico diventa la sua missione di vita, la sua ossessione. Non è una posizione solo teorica e filologica, è una precisa idea politica: per Ben Yehuda la lingua è uno dei più importanti mezzi del sionismo, lo strumento della rinascita del popolo ebraico sulla sua terra.  Si cambia il nome in Ben Yehuda, “figlio di Giuda” che era sì il nome di suo padre, ma anche quello del regno di Giudea, da cui viene la denominazione di ebreo in molte lingue, fra cui lo stesso ebraico, E’ contrastato dagli ambienti più tradizionalisti della comunità ebraica locale, che considerano blasfemo il suo tentativo di adattare la lingua santa in strumento di uso quotidiano. Viene arrestato da turchi per il sospetto di essere un agitatore politico contro il loro dominio. E’ poverissimo, malato, diffamato; ma tiene duro. Lavora indefessamente a un dizionario in cui elencare non solo le parole della tradizione e della Scrittura, ma anche inserire i vocaboli per tutti i nuovi fenomeni e gli oggetti inventati dalla modernità in modo da avere una lingua utile per tutte le circostanze della vita. Come dire “treno”, “pomodoro”, “università”, “giornale”,  “transatlantico” in ebraico? Ben Yehuda scheda tutti i testi della tradizione, ma attinge anche ad altre lingue semitiche come l’arabo e se proprio occorre propone dei calchi ebraici delle parole occidentali Quando gli nasce il primo figlio Ben Zion, impone a se stesso e alla moglie di parlargli solo in ebraico. Dopo venti secoli e passa, il bimbo è il primo parlante nativo in ebraico.

     

    La vittoria

    Gradualmente intorno a lui si forma un gruppo di insegnanti e intellettuali che condivide le sue idee. Riesce a convincere i benefattori europei che mantengono le scuole per gli ebrei di Israele a far condurre l’insegnamento in ebraico. In Israele, ma anche in Europa inizia a nascere una letteratura ebraica di alto livello, la cui prima bandiera è il poeta Hayim Nahman Bialik. Riesce a trovare i fondi per il suo gigantesco dizionario della lingua ebraica, di cui pubblica nel corso degli anni i primi otto volumi (diventeranno diciassette negli anni Cinquanta). Vince anche la battaglia per far sì che l’insegnamento nella prima università ebraica funzionate, il Technion di Haifa, si svolga in ebraico e non in tedesco come volevano i finanziatori. Ciò richiede la formazione di un lessico scientifico ebraico, per nulla scontato prima. Esausto per il grande lavoro, minato dalla tubercolosi che non aveva mai vinto del tutto, Ben Yehuda muore  a Gerusalemme il 16 dicembre 1922, salutato e riconosciuto da tutti come uno dei padri della rinascita non solo della lingua ma anche del popolo ebraico. La sua memoria è presente ogni giorno nel miracolo della vita quotidiana di una lingua che a lungo era stata data per finita e che invece prospera. Un miracolo che è bello ricordare proprio a Hannukkà.

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