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    Il dolore e il destino nell’ultimo libro di Lia Levi “Ognuno accanto alla sua notte”

    Tre storie apparentemente diverse, tre storie che raccontano uno stesso dolore, questo è “Ognuno accanto alla sua notte” (Edizioni e/o) il nuovo libro di Lia Levi che verrà presentato giovedì dalla Comunità Ebraica di Roma sulla pagina Facebook del Centro di Cultura ebraica. A dialogare con l’autrice Riccardo Calimani mentre le letture saranno affidate a Cloris Brosca. Ad introdurre i saluti di Massimo Finzi, assessore alla memoria della Comunità ebraica di Roma.

     

    Abbiamo chiesto a Lia Levi, primo direttore di Shalom, di parlarci del suo nuovo romanzo.

     

    Un romanzo che racconta il periodo più oscuro del nostro paese. Tre vicende diverse unite da un filo conduttore. Come è nata l’ispirazione di raccontare il gioco del destino?

     

    Per me il gioco del destino è stato il punto di partenza. Ho pensato nel tempo sul ruolo che il destino ha nelle nostre vite: ci sono persone più sagge, alcune più impulsive, alcune che ragionano. Racconto gli esseri umani nelle loro reazioni e relazioni, però il destino gioca per conto suo i suoi dadi. Non basta la saggezza e la sagacia. Attratta da questo pensiero, ho pensato che raccontare una storia singola non avrebbe dato abbastanza risalto a questo “strano gioco”. Per questo ho scritto tre diverse storie per spiegare meglio come il destino ha agito.

     

    Perché questo gioco del destino viene rappresentato da un autobus?

     

    Pensiamo ad un’opera teatrale, mettiamo prima personaggi ed interpreti. Nel mio libro ci sono tre cenni, questo autobus è una premessa. Tre giochi del destino leggeri. Come nella musica quando accenni quello che sarà il motivo principale con due note. Un piccolo suono che poi diventerà il suono vero del racconto. Questo rappresenta l’autobus.

     

    Nel suo libro vengono raccontati tre momenti della nostra storia: la caduta del fascismo, la richiesta dei 50 chili d’oro e il 16 ottobre. C’è un legame tra questi tre momenti?

     

    Le tre storie che nascono separate e convergono nel tragico finale che è il rastrellamento del 16 ottobre 1943. Questi tre momenti fondamentali da un lato unificano queste tre storie, dall’altro le diversifica perché ogni protagonista ha una reazione diversa a ciò che sta vivendo. Tanto è vero che nella seconda storia, mentre tutti festeggiano la caduta del fascismo, Colomba ha la dolorosa sensazione di essere la traditrice perché pensa che il suo Ferruccio chissà che fine farà.

     

    Tre storie che ruotano intorno alla dramma delle leggi razziali. Come le affrontano i protagonisti del romanzo?

     

    Le mie tre storie sono tutte e tre diverse anche da questo punto di vista. C’è Graziano che è il giovane che si ribella, tanto è vero che lui fa una protesta, che mi è piaciuto molto raccontare, perché molto adolescenziale. Una protesta che non vede nessuno, ma ha un senso farla? Si perché un adolescente sente forte la protesta contro le ingiustizie e a modo suo qualcosa fa. Nel primo racconto invece c’è chi agisce entrando in politica, anche in maniera clandestina. Modi diversi di ribellarsi.

     

    C’è una figura particolare in questo romanzo. Chi è Fiammetta?

     

    Fiammetta è colei che scrive. Ha questo compito, che poi è quello della letteratura, qualcuno vive le esperienze, poi ci deve essere qualcuno che le metta in ordine. In più lo scrittore le completa aggiungendo una parte emotiva. Fiammetta dice: «Ho anch’io delle abitudini, e ogni tanto ho bisogno di aria, di vedere le cose da fuori» e rappresenta lo scrittore che ascolta ma sta fuori dal cerchio del racconto.

     

    In molti dei suoi romanzi si avverte l’importanza della memoria. Quanto è importante ricordare e divulgare soprattutto ai giovani?

     

    Credo che raccontare storie individuali, quelle che permettono il processo di identificazione, perché puoi fare il tifo per questo o quel personaggio, ne riconosci le ingiustizie, è una delle strade per penetrare nella sensibilità dei ragazzi. Credo molto nella memoria del singolo. Come ha detto Amos Oz: “Quanto più racconti il particolare, tanto più raggiungi l’universale”. I giovani sentono moltissimo l’ingiustizia ed è la cosa che più li fa fremere.

     

    C’è un personaggio di questo romanzo a cui è più legata?

     

    Sicuramente a Saul perché ha una sofferenza dentro, ma ha anche molta ironia ed autoironia avendo un modo più diretto per entrare in contatto con l’altro, dice le cose, ma in un modo morbido, con un po’ di distacco, e questo favorisce, e non impedisce, la comunicazione.

     

    Il titolo del libro precedente glielo ha suggerito suo figlio. Questa volta dove ha preso l’ispirazione?

     

    Amo molto la poesia, sfogliando un libro del poeta rumeno Paul Celan ho visto questo verso dove ho ritrovato il mio libro, il racconto di tre diversi dolori. Ho preso ispirazione anche da Saba che dice la cosa opposta. Il dolore è universale ma ognuno poi se lo vive a modo suo, se lo può abbracciare, lo può rifiutare, ma se cogli un autentico dolore di qualcun’altro questo te lo affratella. Da un lato nel titolo dico che ognuno ha il suo dolore, dall’altro, però, che è universale.

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