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SPECIALE PESACH 5784

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    L’ultimo Kaiser dell’ultima Atlantide

    “Pronto, è il tribunale provinciale? Allora, l’attentatore?” “Come da ordini ricevuti, è stato impiccato alle ore 4 e 13!” “Dunque è morto?” “Beh, ecco, la morte dovrebbe giungere da un momento all’altro!” “Che? Dovrebbe? A che ora è stata eseguita la sentenza?” “Alle 4 e 13!” “Adesso sono le 5 e 35! State dando i numeri? Possibile che il boia non riesca a impiccare a morte in 82 minuti?!”.

    Questi, in breve, l’allucinante dialogo tra il Kaiser Overall e Altoparlante nell’opera Der Kaiser von Atlantis di Viktor Ullmann; è successo qualcosa di imprevedibile nel regno di Atlantide, un’epidemia si è abbattuta sul genere umano, nessuno muore, gli uomini vivono tutti eternamente infelici e sudditi.

    La Morte che, come essa racconta, ha cavalcato sui cavalli di Attila, con le truppe di Gengis Khan e sugli elefanti di Annibale rifiuta di cavalcare moderne macchine e carri armati; perciò abortisce dal compiere il proprio dovere e comunica ad Arlecchino – simbolo della Vita – la propria decisione.

    Tutto sembra procedere secondo i piani sino a quando la scomparsa della Morte comincia a sortire i suoi effetti; se nessuno muore tutti vivono, pensano, riflettono e si ribellano alle malefatte del loro Kaiser, un essere maniacale e adoratore di se stesso che ha dichiarato guerra al mondo lasciando sgomenta persino la Morte e vive chiuso nel proprio palazzo comunicando soltanto con Altoparlante.

    Il Kaiser si accorge che il suo piano è destinato a fallire senza la Morte e gli chiede di tornare nel Regno; la Morte acconsente ma chiede in cambio una sola cosa ossia la vita del Kaiser in persona.

    Morte e Kaiser attraverseranno lo specchio che separa il mondo dall’ignoto mentre si ode un corale di reminiscenze bachiane che in quel frangente risulta quanto mai grottesco e lunare.

    Nel 1943 (l’ultima data sul manoscritto riporta il 13.10.1944) Ullmann terminò di scrivere l’opera in un atto e 4 quadri  Der Kaiser von Atlantis oder Die Tod-Verweigerung (L’Imperatore di Atlantide ovvero il rifiuto della morte) su libretto del poeta e disegnatore Petr Kien; velenosamente allegorica sulla natura del nazionalsocialismo, l’opera era già proiettata nella contemporaneità grazie a inedite soluzioni d’organico orchestrale (harmonium, pianoforte e clavicembalo a due manuali in partitura, banjo, sax contralto, contrabbasso a 5 corde e sette voci), alla compresenza nell’intreccio operistico di più linguaggi musicali nonché all’uso brechtiano dello strumento teatrale.

    L’allestimento del Der Kaiser von Atlantis presso la Sokolhaus di Theresienstadt fu bloccato alle prove antigenerali durante l’estate 1944; i palesi riferimenti al Führer nella figura del Kaiser, la Tamburina che presentando il Kaiser ne scandisce i molteplici titoli al suono del Deutschlandslied trasformato in una sorta di grottesco inno ecclesiastico nonché i profili della Morte e di Arlecchino – personaggi dell’opera a diverso titolo distruttivi della figura del Kaiser – spinsero l’autorità tedesca di Theresienstadt a vietarne l’allestimento.

    Il trombettista ebreo danese Paul Aron Sandfort [Rabinovich], che suonava nell’orchestra, riferì che il comandante SS-Obersturmführer Karl Rahm intimò al compositore di modificare significativamente il libretto, minacciandolo di serie ritorsioni se non l’avesse fatto; Ullmann non lo fece, pertanto alle antigenerali si presentò unicamente Sandfort che, al contrario di Ullmann e dell’orchestra, non subì il trasferimento a Birkenau poiché la Croce Rossa danese vigilava sulla sua incolumità.

    Musicista dagli orizzonti di linguaggio inimmaginabili, genio che scrutava il futuro musicale, Viktor Ullmann voleva portare con sé ad Auschwitz la partitura del Kaiser ma qualcuno lo convinse a nasconderla; fu gasato a Birkenau con la sua terza moglie Elizabeth e il figlio primogenito Max.

    Hallo, hallo! è il motto pronunciato da Altoparlante all’inizio dell’opera, spasimo di un “oggetto senziente” e motto internazionale dei radiotelegrafisti militari durante la Prima Guerra Mondiale (il giovane Ullmann tenente dell’esercito asburgico di stanza presso Trieste ne conservava memoria), formula anglosassone di saluto al telefono, sovente deborda altresì nell’operetta e nel cabaret sino alla nota canzone “Hallo hallo” dell’italiano Amedeo Minghi.

    C’è un altro drammatico Hallo, hallo! che la Storia recente ha consegnato ai posteri; trattasi dello Hallo, hallo! ripetuto 20 volte dall’ultimo presidente della Repubblica Socialista di Romania Nicolae Ceausescu il 21 dicembre 1989 dal balcone presidenziale di Bucarest dinanzi alla piazza che urlava contro l’ultimo Kaiser dell’ultima Atlantide comunista dell’Europa orientale.

    Nell’opera ullmanniana il Kaiser non parla “tramite” l’Altoparlante ma “con” esso (l’Altoparlante non compare mai in scena); il suo Hallo, hallo! è cesellato sui due trìtoni del Tema della Morte che trovasi nella Sinfonia op. 27 Asrael – nome dell’Angelo sterminatore – di Josef Suk, musica altresì adottata per accompagnare le esequie di Stato durante la Prima Repubblica Cecoslovacca (1918-1938). 

    Come la B di “Arbeit macht frei” montata al rovescio all’ingresso di Auschwitz I Stammlager, Hallo, hallo! del Der Kaiser von Atlantis sottendeva una implorazione di aiuto mai arrivata a destinazione.

    Nell’epilogo dell’opera ullmanniana, la Morte chiede al Kaiser la sua stessa vita a riparazione della propria dignità violata; prima di attraversare lo specchio, il Kaiser intona una delle arie più struggenti, di inarrivabile bellezza, impossibile da ascoltare senza commuoversi.

    L’ultimo messaggio che ci lascia un uomo pazzo e crudele rasenta la perfezione e bellezza assoluta.

    Nel Der Kaiser von Atlantis la Morte ha un’etica, a suo modo è giusta e saggia; ci ammonisce a non desiderare la morte del proprio nemico neanche quando il nemico desidera la nostra perché spetta alla Morte e non all’uomo decidere chi morirà. 

    In una sorta di comandamento alla rovescia, mai nominare il nome della Morte invano (“Du sollst den großen Namen Tod nicht eitel beschwören”, è scritto nell’opera); chi offende la Morte muore.

    Il 16 dicembre 1975, presso il Bellevue Centre di Amsterdam, l’opera fu allestita per la prima volta (Nederlandse Opera diretta da Kerry Woodward) ma fu rappresentata integralmente nel 1989 alla Neukollner Oper di Berlino; ulteriori ricostruzioni sui manoscritti furono realizzate da Michael Graubart e Nicholas Till e da un gruppo di ricerca condotto da Ingo Schulz, la casa editrice Schott pubblicò un adattamento scenico dell’opera che tuttavia lascia insolute numerose questioni filologiche e non rende l’idea della complessità dell’opera.

    L’ultima ricostruzione filologica del Der Kaiser von Atlantis risale al 2009 a cura della Fondazione Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria di Barletta sul materiale originale depositato presso la biblioteca Paul Sacher di Basilea, sui quaderni musicali utilizzati dai cantanti esecutori dell’opera a Theresienstadt e sui preziosi addenda consegnati da Paul Aron Sandfort alla Fondazione di Barletta; l’acquisizione di nuovo materiale dell’opera ha riservato non poche sorprese, dalle due Arie della Tamburina a 2 o addirittura 3 testi diversi per alcuni brani nonché interi frammenti cancellati all’ultimo momento dall’autore (la Definitive Edition a cura di Paolo Candido sarà pubblicata nel 2025 nell’Enciclopedia Thesaurus Musicae Concentrationariae).

     

    Quest’opera e tutte le altre 8.000 opere prodotte in cattività civile e militare dal 1933 al 1953, da Dachau a Vorchuta, dal primo Lager all’ultimo Gulag, sono testamento e manifesto di un inimmaginabile Umanesimo; esse tuttavia costituiscono una enorme, impegnativa eredità che trascende l’elemento musicale per assumere il significato di una sfida intellettuale e generazionale.

    Grazie al lavoro compiuto in tal senso negli ultimi 33 anni e oggi archiviato a Barletta, l’Italia può definirsi il Google della produzione musicale concentrazionaria; l’Italia ebraica deve fare molto di più.

    Giusto un input, si pensi ad allestire la Definitive Edition del Kaiser a Roma come pure a Milano, Torino, Venezia; se ne facciano carico le istituzioni ebraiche insieme a teatri e altri Enti pubblici.

    Siamo soltanto all’inizio.

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