Skip to main content

SPECIALE PESACH 5784

Scarica il Lunario 5784

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati

    La vita davanti a sé, l’amore di una donna ebrea e di un bambino arabo nello spettacolo di Silvio Orlando

    Un romanzo straordinario messo in scena da un attore come Silvio Orlando. È in tournée in Italia “La vita davanti a sé”, un monologo, accompagnato da quattro musicisti, tratto dal romanzo di Romain Gary, pubblicato nel 1975, adattato per il cinema nel 1977 e poi per Netflix con Sophia Loren nel 2020. La scelta di Orlando è però diversa, tanto è vero che ci dice subito di “dimenticare il film”. Siamo andati a vederlo al Teatro Argentina dove si sono appena concluse le repliche, ma la tournée prosegue in tutt’Italia e sarà dal 26 gennaio al 6 febbraio al Franco Parenti di Milano. Orlando è solo in scena a raccontare la storia di Momò, il bimbo arabo di dieci anni che vive nel quartiere multietnico di Belleville nella pensione di Madame Rosa, anziana ex prostituta ebrea che sbarca il lunario prendendosi cura delle gravidanze indesiderate delle colleghe più giovani. “La mia messa in scena passa attraverso il romanzo, il film ha cercato un approccio realistico alla vicenda, mentre la mia visione è fondata totalmente sul punto di vista di un bambino. Mi interessava mostrare come un bambino può immaginare o vedere la vita attorno ai dieci anni. È uno sguardo dilatato, è la realtà magica”, ci racconta Orlando. “Sono partito dalla parola, in teatro è fondamentale e apre mille mondi, più delle immagini che restringono l’immaginazione”. Così, il bambino Momò racconta la storia della banlieue di Parigi attraverso un monologo. “Interpreto Momò, sono Madame Rosa, sono Nadine, faccio tutto io. È importante perché questo modo di raccontare ci allontana sempre di più dal tentativo di naturalismo teatrale”. Un romanzo che parla di vite sgangherate e di un affetto quasi materno tra Madame Rosa e Momò con commozione e a tratti con divertimento. “Ho letto il libro e non ho potuto fare a meno di metterlo in scena. Ho una commistione sentimentale molto forte con la storia e con questo bambino, con le sue speranze, con le sue mancanze perché mi consente di parlare del tema più importante di questo decennio e di quelli a venire: quello dell’accoglienza e dell’inclusione in maniera poetica”.

     

    Ed è da Momò, piccolo orfano arabo, che apprendiamo la vita di Madame Rosa che a tratti ricorda l’inferno di Auschwitz, la deportazione del Vélodrome d’Hiver, la vita dura nel dopoguerra quando per sbarcare il lunario faceva la prostituta, ma che nei ricordi appannati di una donna ormai vecchia e grassa rappresenta la migliore stagione della sua vita. I fantasmi, però, continuano a perseguitare Madame Rosa che in cantina ha allestito un piccolo rifugio per nascondersi dal mondo e di cui è a conoscenza solo Momò. Ed è lo stesso Momò a cercare salvare Madame Rosa inventandosi una famiglia israeliana che si prenderà cura della vecchia. “Perché agli ebrei – dice con ironia Momò-Orlando sul palco – piace molto Israele”.

     

    La prosa di Silvio Orlando si interrompe con le note dell’Ensemble dell’Orchestra Terra Madre con Simone Campa, Gianni Denitto, Maurizio Pala, Kaw Sissoko. Ed è proprio grazie alla musica in cui si fondono ritmi nordafricani e sonorità mediterranee che arriva il messaggio dello spettacolo: un mondo dove l’odio, le barriere e i contrasti vengono spazzati via da un bambino in cerca di una madre e da una donna in cerca di un figlio.

    CONDIVIDI SU: