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    Non solo Varsavia. Resistenza e rivolte degli ebrei d’Europa

    La critica ingenerosa per cui gli ebrei europei si sarebbero lasciati deportare e sterminare senza opporre resistenza agli assassini non è smentita solo dall’insurrezione del Ghetto di Varsavia. È vero che in molti luoghi gli ebrei non avevano l’organizzazione né i mezzi per resistere e che, come mostra un libro importante di Yosef Hayim Yerushalmi («Servitori di re e non servitori di servitori») un’esperienza storica millenaria aveva insegnato al popolo ebraico che nei tempi più difficili era meglio affidarsi allo Stato per quanto ostile che opporglisi. Ma in molti luoghi gli ebrei cercarono di resistere. Dopo Varsavia, nell’estate del 1943 vi furono rivolte e resistenze sanguinose nei ghetti di Będzin (25 mila deportati), Białystok  (15 mila), Częstochowa  (50 mila), Mińsk Mazowiecki (7mila). Vi furono battaglie anche durante la liquidazione finale dei ghetti di Cracovia (7 mila), di Łódź  (che con 200 mila internati fu il secondo di tutto il sistema nazista), di Lviv (150 mila), di Sosnowiec (35 mila), di Vilna (40 mila) e di numerose altre località. 

    In tutti questi casi lo schema fu lo stesso: dopo alcune stragi iniziali gli ebrei vengono concentrati in condizioni sanitarie alimentari e di sovraffollamento terribili in un quartiere urbano recluso, utilizzati come manodopera, oggetto di progressive deportazioni verso i campi di sterminio. I ghetti erano autogovernati da consigli che cercavano di diminuire nei limiti del possibile le sofferenze collettive e perciò dovevano negoziare coi tedeschi (una scelta che fu duramente rimproverata al popolo ebraico da Hanna Arendt). Nei ghetti vi erano autorità religiose, preghiere, tentativi di mantenere viva la tradizione (sempre forme di resistenza), ma anche gruppi che cercarono di armarsi per  resistere. Via via che le deportazioni verso i campi della morte procedevano, questi gruppi organizzavano rivolte, anche se in grande inferiorità numerica e di armamento e morirono quasi tutti combattendo.

    Altre rivolte ancora più disperate si ebbero in numerosi campi di sterminio e di lavoro forzato dove deportati ebrei che si riunirono  per organizzare la resistenza e preparare tentativi di fuga. In particolare tre grandi sollevazioni si svolsero  anche nei campi di sterminio di Treblinka, Sobibor e Auschwitz, dove si ribellarono i membri dei “Sonderkommando” obbligati a occuparsi dei cadaveri dei loro compagni. In tutte queste situazioni la risposta tedesca fu l’annichilamento totale.

    Vi fu infine una resistenza ebraica fuori dal sistema nazista di reclusione. Numerosi ebrei parteciparono al movimento partigiano in  tutt’Europa. In Italia furono circa 2000, una proporzione intorno al cinque per cento della popolazione ebraica, molte volte superiore a quello del resto degli italiani. Otto furono insigniti di medaglia d’oro alla memoria (Eugenio Colorni, Eugenio Curiel, Eugenio Calò, Mario Jacchia, Rita Rosani, Sergio Forti, Ildebrando Vivanti, Sergio Kasman). Tra i più noti vi sono Enzo ed Emilio Sereni, Vittorio Foa, Carlo e Primo Levi, Umberto Terracini, Leo Valiani, Elio Toaff. Fra i caduti, Franco Cesana, il più giovane partigiano d’Italia, Emanuele Artom e Ferruccio Valobra, Mario Finzi, Mario Jacchia, Leone Ginzburg.  

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