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SPECIALE PESACH 5784

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    Ciò che Israele fa e ciò che potrebbe fare

    Succede molto spesso di sentire criticare Israele da molte parti per quel che non fa. A sinistra c’è sempre chi protesta perché lo stato ebraico “non ha il coraggio” di prendersi i rischi della pace. A destra molti hanno rimproverato Netanyahu per non aver avuto abbastanza determinazione per entrare a Gaza e sistemare una volta per tutte il terrorismo di Hamas. E poi ci sono quelli che rimproverano Israele per non aver ancora bombardato l’Iran, fatto guerra a Hezbollah, accolto i migranti, deposto Mahommed Abbas, abbandonato l’Onu, rotto le relazioni diplomatiche con la Turchia. Oppure, sul versante del fare, c’è chi si chiede perché Israele perde tempo a coltivare buoni rapporti, nei limiti del possibili con governi antisemiti e ferocemente antisionisti come Egitto, Giordania, Arabia Saudita, o con la Russia, lasci passare i finanziamenti a Hamas e all’Autorità Palestinese o perda tempo con l’Unione Europea e cerchi compromessi anche su un luogo simbolicamente centrale come il Monte del Tempio, faccia entrare o meno le deputate americane sostenitrici del BDS. Alcune di queste critiche sono giustificate in linea di principio, altre per nulla. Ma tutte hanno in comune una sopravvalutazione del potere dello stato ebraico. Israele sfiora i 9 milioni di abitanti (come la Svizzera) e controlla una superficie di 25 mila kmq (come la Sicilia) e ha in linea di principio contro 450 milioni di arabi e altri 1,2 miliardi di musulmani, che controllano un quarto delle terre emerse. Buona parte del mondo cristiano e dei paesi comunisti o ex sono pure contrari a Israele. I rapporti anche precari, anche con paesi poco raccomandabili sono preziosi per il solo paese al mondo minacciato quotidianamente di distruzione non solo dai terroristi, ma da potenti stati. La prudenza e la ponderazioni sono necessari per ogni gesto, per ogni decisione, anche minima: che si tratti di rispondere a provocazioni palestiniste o di entrare in guerra, bisogna pensarci molte volte. Perché Israele ha anche una debolezza che è un valore immenso: è l’unico stato ebraico al mondo, rinato dopo due millenni di esilio. Amministrarlo è una responsabilità pesantissima.

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