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    COME DIVENTARE UN PERFETTO FANATICO

    Per diventare un perfetto fanatico bisogna incominciare con un’affermazione purchessia, non importa il tenore. Ad esempio: “amo il caffè senza zucchero”.  Indi, ci si guarda allo specchio del bagno, dove si è sempre soli, si assume un’aria decisa, leggermente irritata, e si ripete il concetto con furia. Un importante politico italiano, che ha fatto la storia, sgranava gli occhi per trasmettere un’immagine terribile. Faceva bene, perché non temeva il ridicolo: varcata quella soglia, si va avanti e ciò che appariva ilare non lo è più, perché s’inserisce nella norma.

    Ciò accade anche con gli altri comportamenti. Si aveva ritegno di manifestare l’avversione verso i diversi, però una volta superato questo limite costituito dal c.d. super io, ci si sente come liberati da un peso. Tant’è che nella prosa del dopo leggi razziali si legge in continuazione “dobbiamo dirci francamente razzisti”.

    Sarebbe proficuo affrontare la questione non dal versante morale, ma da quello tecnico, che inerisce alla forma di ragionamento ed agli itinerari da seguire. Posso dire “odio Sempronio”, me ne persuado e, al contempo, ribadisco senza requie siffatta avversione. Il passo seguente – ma talvolta coevo – è indispensabile, e consiste nel rifiuto di ogni discussione. Conoscevo un malfattore che si rifugiava in un suo tormentone “non discuto stupidaggini”, il che configurava una replica assai bizzarra perché costui era, egli stesso, non molto lontano dalla categoria degli stupidi. Ecco, la stupidità. Non dev’essere oggetto di anatemi, ma di giustificatissima invidia, in quanto lo stupido non è soggetto alle controindicazioni della c.d. meritocrazia, perché non susciterà l’invidia di alcuno mentre, al contempo, lancia un messaggio subliminale: sono come voi, il che non solo è spesso vero, ma ha anche un appeal democratico, da grass roots.

    Il cuore della questione, tuttavia, risiede nel rifiuto di ogni contraddittorio: se dico che sono stati aiutati gli istituti di credito anziché le persone, o che bisogna privilegiare l’accoglienza, a nessuno passa per la mente di andare a controllare. È il contrario dell’ebraismo, dove nel Talmud tutto è sottoposto a discussione e non ci sono dogmi. Ragion per cui, per il fanatico, si può arrivare nel breve periodo ad avere buoni  rapporti con gli ebrei ma, nel lungo periodo, i due metodi finiranno per collidere.

    Ho letto “Cari Fanatici” di Amos Oz (Feltrinelli, 2017, traduzione di Elena Loewenthal)  ma non mi persuade, fuorché nel ripetuto ricorso alla parola “compromesso”. Oz trascura, però, che il compromesso non va accettato con la mente ma col cuore, pena la recidiva. Il cuore, più che la mente, debbono renderci empatici per recepire, senza esagerazioni (è difficile, per dire, pretendere che si pianga a dirotto ogni volta che muore una delle quasi otto miliardi di persone che ci sono sulla terra) le istanze dell’altro, ricordando che mentre l’odio è unilaterale, l’amore vero dovrebbe  essere reciproco e bilaterale. Forse per questo ho sentito due nostri eminenti Maestri (Riccardo Di Segni e Roberto Della Rocca) insistere sempre sul bisogno di fare e mantenere delle scuole ebraiche, le quali scuole dovrebbero essere sempre migliorate nello studio e nel ragionamento, intesi come unico antidoto noto al fanatismo.   

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