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    Il mancato realismo della leadership palestinese

    chi segue le vicende mediorientali capita spesso di dover ripetere la considerazione sconsolata attribuita a Golda Meir (ma forse di Abba Eban) per cui i dirigenti palestinisti “non perdono mai l’occasione di perdere un’occasione”. E’ accaduto di nuovo nelle ultime settimane con i ripetuti rifiuti opposti da tutte le fazioni palestinesi all’accordo fra Israele e un paio di stati arabi (a quanto pare destinati presto a essere imitati da altri) e poi all’indignazione espressa per il rifiuto della Lega Araba di condannare questi accordi. Perché politici spregiudicati nella gestione del potere come Mohamed Abbas (eletto solo per un mandato di quattro anni, ma ormai entrato nel quindicesimo anno di presidenza), si bruciano tutti i ponti alle spalle, subendo la minaccia di complotti guidati dai “fratelli arabi” per sostituirlo? La risposta può forse venire da un sondaggio recente (https://www.jewishpress.com/news/eye-on-palestine/poll-shows-pa-gaza-arabs-feel-betrayed-by-gulf-states-prefer-hamas-haniyeh-over-abbas/2020/09/22/) dove si rileva che la grande maggioranza dell’Autorità Palestinese condivide l’ira proclamata da Abbas per gli accordi e semmai lo incolpa di non averli combattuti abbastanza efficacemente. Il dittatore segue i suoi sudditi.  Ma perché anch’essi mancano di qualunque realismo, chiedono per esempio di non riallacciare i rapporti con Israele ma dicono anche di volere i servizi assicurati dallo stato ebraico, come quelli fiscali e sanitari? Perché l’odio impedisce loro di vedere la realtà? Una prima ragione è naturalmente la continua propaganda, il vero e proprio lavaggio del cervello revanscista e antisemita che subiscono da decenni. Ma c’è qualche cosa di più profondo. Coloro che a partire dalla metà degli anni Sessanta si iniziò a definire palestinesi, infatti, hanno provenienze e culture assai diverse, sono divisi in tribù, oltre che in orientamenti politici e posizioni sociali lontanissime. In realtà l’idea di un popolo palestinese non ha alcun contenuto positivo, non esprime un progetto politico autonomo ma si identifica con il tentativo di eliminare lo stato nazionale del popolo ebraico. Nel momento in cui questo progetto di genocidio fortunatamente si è dimostrato impossibile e molti stati arabi vi rinunciano formalmente, che resta del palestinismo? Che identità può darsi un popolo che si dice palestinese, intendendo solo anti-israeliano? Questo è il problema che li porta a perdere tutte le occasioni. Come diceva ancora Golda Meir, solo quando ameranno i loro figli più di quanto odiano noi, anche per loro verrà l’ora della pace.

     

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