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    L’INSEGNANTE DECAPITATO VICINO PARIGI. UN ATTACCO JIHADISTA CHE DEVE PREOCCUPARE L’EUROPA

    L’orribile decapitazione di Samuel Paty, un insegnante 47enne di storia geografia ed educazione civica, nel sobborgo parigino di Conflans-Sainte-Honorine, riporta inevitabilmente l’attenzione sulla minaccia terroristica in Europa ed in particolare in Francia. Ancora una volta un giovane solitario, il 18enne ceceno Abdoullakh Abouyezidvitch, compie un barbaro attentato apparentemente senza far parte di alcun gruppo armato, mette in atto un efferato omicidio con motivazioni ‘religiose’, scegliendo e realizzando una decapitazione che richiama ai raccapriccianti video dell’Isis e pubblica poi su internet le immagini della vittima decapitata.

    La Francia si conferma il paese più esposto al rischio terrorismo di matrice jihadista in Europa e in tutto l’occidente. Già alla fine di agosto, il ministro dell’Interno, Gérald Darnanin, aveva dichiarato che la minaccia terroristica rimaneva «estremamente elevata nel paese», anche alla luce del fatto che secondo i servizi segreti francesi nel Paese abitano circa 8000 radicali islamisti, di cui la metà cittadini francesi.

    Le minacce e le intimidazioni dei radicali islamisti sono ulteriormente cresciute anche in modo pubblico quando, all’inizio di settembre, si è finalmente aperto a Parigi, con grande visibilità mediatica, il processo ai complici degli attacchi jihadisti eseguiti tra il 7 e il 9 gennaio 2015 contro Charlie Hebdo ed altri bersagli, tra cui un supermercato kasher. In occasione dell’avvio di questo processo, la redazione del giornale satirico aveva deciso di ripubblicare alcune delle controverse caricature al profeta Maometto che avevano indotto i fratelli Kouachi a realizzare l’attacco del 2015. La ripubblicazione di queste caricature ha scatenato l’ira e il desiderio di rivalsa di militanti e simpatizzanti jihadisti anche a livello internazionale. Minacce e inviti a “reagire” all’offesa sono giunte da al Qaida che ha invitato esplicitamente «tutti i musulmani» a vendicarsi contro Charlie Hebdo, indicando la Francia in cima alla lista dei nemici. Pochi giorni dopo, il 25 settembre, un giovane pakistano ha aggredito due giornalisti proprio di fronte alla vecchia sede di Charlie Hebdo.

    Poco servono le parole del presidente Macron che in televisione ha difeso i principi di laicità della Francia, fino a difendere orgogliosamente il diritto alla libertà di parola compreso il «diritto alla blasfemia». Ma a Macron forse è sfuggito che la situazione in Francia è molto più grave: non si tratta di difendere il diritto alla blasfemia, ma molto più semplicemente di difendere il diritto di essere francesi, di pensarla come si vuole.

    Il povero professore parigino, che aveva denunciato alla polizia le minacce subite da un genitore musulmano di una sua alunna, era colpevole – e per questo è stato ucciso – per avere svolto una lezione sulla libertà di espressione, mostrando due vignette, pubblicate da Charlie Hebdo raffiguranti Maometto (avendo avuto però prima l’accortezza e la sensibilità di invitare gli studenti musulmani ad uscire dall’aula se fosse stata colpita la loro sensibilità). 

    La brutalità della decapitazione di Samuel Paty per strada, in mezzo alla folla tra genitori e studenti, oltre alla successiva diffusione della foto della sua  testa mozzata, hanno un evidente significato di minaccia verso chiunque voglia criticare il mondo jihadista e difendere i valori democratici della società.

    Come troppe volte successo in passato, la polizia francese ha iniziato a muoversi troppo tardi. Ieri è stato fermato l’intero nucleo familiare del terrorista e due genitori di allievi dell’istituto. Uno di questi si era mostrato particolarmente agguerrito con il professore tanto da pubblicare – ha spiegato il procuratore anti terrorismo Jean-François card nel corso di una conferenza stampa – «sulla sua pagina Facebook un testo» in cui accusava apertamente l’insegnante «facendone il nome e aggiungendo il suo numero di telefono». Poche ore prima aveva cercato di ottenerne il licenziamento a seguito di un burrascoso incontro con la preside dell’istituto. Ad accompagnarlo, in quella circastanza, era stato Abdelhakim Sefrioui, militante estremista molto noto negli ambienti dell’intelligence francese (anche Iui fermato). 

    Nel 2004, Sefraoui aveva fondato il collettivo Cheikh Yassine, dal nome del leader di Hamas ucciso quell’anno dagli israeliani. Nel 2009 aveva organizzato una protesta contro il rettore della moschea di Parigi, Dalil Boubakeur, attaccato per la sua disponibilità al dialogo con Israele. Nel 2009, dopo che aveva minacciato i partecipanti ad una manifestazione contro il velo integrale, alla quale era presente il primo ministro Manuel Valls, il prefetto di Saint Denis aveva cercato invano di revocare la sua nazionalità francese, che Sefraoui, di origine marocchina, ha ottenuto grazie al matrimonio. Quando Sefraoui ha accompagnato il genitore dalla preside si era presentato come presidente di un “consiglio degli imam di Francia”, che non risulta legalmente registrato da nessuna parte.

    Ora gli inquirenti si chiedono se il giovane ceceno era un “lupo solitario”o ha agito su spinta di un gruppo di mandanti? La domanda appare per certi versi persino inutile perché è chiaro il contesto in cui è maturato il desiderio di uccidere il professore.

    Di certo si sa che Anzorov, che non era segnalato dai servizi come a rischio radicalizzazione, ma noto solo per piccoli reati e che «beneficiava in Francia dello status di rifugiato» ottenuto sei mesi fa, ha trascorso tutto il pomeriggio di venerdì davanti all’istituto in attesa dell’uscita della vittima. Chiedendo ai ragazzi del posto di indicargliela appena avesse oltrepassato la soglia. Paty non è riuscito a difendersi in tempo. Probabilmente, nemmeno si è accorto dell’arrivo di quel giovane con in pugno un coltello da macellaio lungo 35 centimetri. 

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