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    La gioia ritrovata – La festa di T”u be av e i suoi tanti significati

    “Non vi erano giorni migliori in Israele che il 15 di Av e Yom ha Kippurim” (Ta’anit cap.4 mishnà 8). Nella mishnà di ta’anit si racconta di questa giornata come la più gioiosa dell’anno, insieme a Yom Kippur, in cui le giovani ragazze si vestivano di abiti bianchi (presi in prestito affinché non potesse sentirsi in inferiorità chi non aveva la possibilità di acquistarlo) e giravano danzando per le strade di Gerusalemme con la finalità di contrarre matrimonio. Ci si chiede quale sia stata la motivazione della scelta del 15 di Av per celebrare questa giornata così gioiosa. La sua origine risale alla Torà, precisamente all’episodio dei dodici esploratori. Nella parashà di shelach lekhà si narra che Moshè scelse dodici esploratori per andare a visitare la terra di Chena’an, prima che il popolo facesse ingresso nella terra di Israele. Nel loro tornare alla “base”, dieci di essi iniziano a parlare della Terra come un obiettivo invincibile ed inarrivabile. Una terra abitata da giganti ed inespugnabile. Tutto questo portò malcontento in mezzo al popolo che, in quella notte, perse la fiducia in D-o e iniziò a disperarsi, manifestando la volontà di tornare in Egitto. 

    Quella notte era il 9 del mese di Av e, visto che si era pianto per una cosa senza motivo, il Signore decretò che il popolo avrebbe pianto per sempre, per un motivo ben più grave: il ricordo della distruzione del primo e del secondo Tempio di Gerusalemme. Questo è stato il primo decreto divino, come punizione per la perdita della fiducia in D-o. Fu anche decretato che, così come quaranta giorni era durata la spedizione, quaranta anni sarebbero rimasti gli ebrei nel deserto, prima di entrare in Israele. Il midrash narra che il 9 di Av di ogni anno (data del ritorno degli esploratori) il popolo scavasse una fossa e scendesse in essa, dove molti sarebbero morti; chi superava quella notte, avrebbe avuto la speranza di vivere un anno in più. 

    Alla fine del quarantesimo anno, fu scavata la fossa e scesero in essa, ma dopo qualche giorno, videro la luna piena di quel mese e, non essendo morto nessuno, capirono che il decreto era passato e che di lì a poco sarebbero entrati in Israele. Quel giorno era il 15 di Av – T”u be av.

    Non c’è dubbio che alla base di queste storie ci sia l’insegnamento fondamentale dell’ebraismo al gioire della vita e all’unione matrimoniale, per formare delle famiglie ebraiche. La festa di T”u be Av è considerata una festa campestre, in quanto era nelle campagne di Israele che avvenivano le cerimonie di fidanzamento, così come di Yom Kippur, molti fidanzamenti venivano fatti in mezzo al nostro popolo.

    C’era l’uso che, a minchà di Yom Kippur, i ragazzi che si erano conosciuti ufficializzassero alle famiglie i loro fidanzamenti.

    Per la comunità di Roma, la data di T”u be av, ha avuto un’ulteriore importanza storica: proprio in questo giorno fu inaugurato il Tempio Maggiore nel 1904, in data civile il 28 luglio di quell’anno. Il Tempio Maggiore di Roma simboleggia il ritrovo della libertà e dell’emancipazione dopo l’apertura dei ghetti. È stato anche il simbolo dell’unificazione del nostro popolo e, non da meno, un punto di riferimento per la capitale. Il motivo dell’inaugurazione del Tempio nel giorno di T”u be av è probabilmente dovuto alla fine del periodo luttuoso che va dal 17 di Tamuz al 9 di Av, in cui sono proibite manifestazioni di gioia. La gioia ritrovata nel giorno del 15 di Av ci porta la speranza di un futuro migliore per il nostro popolo e per tutta l’umanità.

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