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    MONACO 1938, TEHERAN 2018: L’EUROPA PREFERISCE I DITTATORI E DETESTA LE SANZIONI

    “Dovevate scegliere tra la
    guerra e il disonore. Avete scelto il disonore e avrete la guerra”. In questi
    termini Winston Churchill si rivolse il 5 ottobre 1938 al premier Neville
    Chamberlain che lo precedette nell’incarico. Chamberlain era reduce dall’infame
    Patto di Monaco negoziato con Hitler e Mussolini. Gli aveva fatto degna
    compagnia il francese Edouard Daladier. Nelle 48 ore del 29-30 settembre
    inglesi e francesi avevano consegnato a Hitler e Von Ribbentrop la
    Cecoslovacchia (con i suoi 420.00 ebrei). Benito Mussolini e Galeazzo Ciano si
    videro accettare e confermare sia la brutale aggressione all’Etiopia che
    l’intervento in Spagna. Era aperta di fatto la via per Tirana e l’annessione
    dell’Albania al Regno d’Italia. Le leggi razziste il regime le aveva già
    decretate nelle scuole il 5 settembre, preannunciate integralmente il 18 a
    Trieste. Le promulgò poi, come è noto, a novembre.

    Gli 80 anni di Monaco coincidono
    dunque con gli 80 anni delle leggi per la difesa della “razza italiana”. Speriamo
    di essere duramente e immediatamente smentiti, ma il costoso campo dei
    superpapaveri europei – con annessi eurodeputati – non fornisce segni di vita
    sullo scomodo anniversario di Monaco 1938. Tra le innumerevoli critiche che
    vengono mosse alle eurocrazie di Bruxelles e Strasburgo, una non siamo riusciti
    a scorgerla: neppure tra le righe di qualche infuocata dichiarazione
    nazionalpopolare di coloro che hanno preso in cura il nostro complicato paese.
    Mi spiego meglio.

    Con cadenza ormai settimanale,
    questo o quello dei Commissari Europei rimprovera – anche giustamente –
    all’Italia il muro di circolari e decreti che viene frapposto in terraferma e
    soprattutto in mare a ogni tentativo di approdo non concordato. Giusto,
    giustissimo; vero, verissimo. Peccato che proprio mentre un commissario –parigino
    e francese – esternava il proprio disappunto, ebbene proprio in quelle ore
    l’Unione andava trattando con il governo iraniano l’individuazione di qualche
    marchingegno utile ad aggirare e bypassare le sanzioni Made in USA che bloccano
    i lucrosi affari delle aziende europee avviati dopo l’JCPOA. Meglio noto
    peraltro come l’accordo che ha permesso al regime degli ayatollah di promettere
    il blocco del programma atomico in cambio di valuta pregiata e investimenti in
    infrastrutture. A carico, è bene sottolinearlo, dei contribuenti europei.

    L’Iran non ha bisogno di
    armamento nucleare se non per deterrenza contro i vicini sauditi, i quali
    tentano di bloccarne l’espansionismo nel Golfo, nello Yemen, in Libano e in
    Siria. Anzi ha rinunciato senza esitazioni, in cambio di business e denaro che
    hanno finanziato avventure belliche invece di migliori condizioni di vita per
    le masse popolari. Non sembra che a Teheran regni un perfetto sistema di
    democrazia laica e liberale. L’illusione è che il danno nei rapporti con la
    Casa Bianca sarà ben compensato da qualche migliaio di posti di lavoro assai
    precario. Si spera di ottenerli anche in Europa, concedendo a Teheran luce
    verde per una politica di espansionismo sciita. Ma si finirà per alienare anche
    all’Italia, come dimostra il caso Libia, l’intero Islam sunnita (che è
    ampiamente maggioritario). Europa e Italia, con faccia più bronzea di quella
    dei due atleti di Riace, rimproverano a Donald Trump la denuncia del Protocollo
    di Parigi contro il riscaldamento globale. Tuttavia rispetto a superficie e
    popolazione restiamo ai primi posti tra produttori di gas serra e CO2. Mussolini
    lamentava le “inique sanzioni” imposte all’Italia fascista dalle democrazie di
    quel tempo, era il 18 novembre 1935, dopo l’aggressione all’Etiopia. Sanzioni
    che durarono poco e furono abrogate il 4 luglio 1936. Alle democrazie fragili
    piacciono evidentemente le dittature. Le sanzioni proprio non vanno giù. Israele
    è minacciato quotidianamente, e senza ragione, dal governo di uno Stato che non
    ne riconosce il diritto all’esistenza. Da leali, veri e orgogliosi cittadini dei
    paesi dei quali abbiamo costruito la storia aspettiamo che le donne e gli
    uomini di Bruxelles tornino a leggere Henri Pirenne, Benedetto Croce e Thomas
    Mann, distraendosi per un attimo da tasche e scarselle. Fino a riconoscere che
    coloro i quali non governano secondo pace e giustizia, dovranno
    ridursi nei “termini debiti, cioè a restare o sanza vizi o sanza autorità.”
    (Francesco Guicciardini, 1530).

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