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    Nazionalisti o globalisti? Una questione di confini

    Lo scontro politico mondiale più importante oggi è il conflitto di civiltà fra islamismo e Occidente, già descritto da Samuel Huntington nel suo celebre libro del 1996. Ma nell’ultimo periodo è cambiato anche il conflitto dentro l’Occidente: non più fra capitalismo e socialismo, perché il socialismo, anche quello riformista, è fallito dappertutto. Ma fra sostenitori dello stato nazionale per cui si è inventato il termine diffamatorio “sovranisti”, ma che bisognerebbe chiamare “culturalisti” come dice Pipes o semplicemente patrioti; e i suoi nemici, che in Europa si dicono europeisti, ma sono dominanti anche fra i democratici americani, che sono in sostanza anarchici più o meno estremisti e che in odio alla nazione e ai suoi confini vagheggiano imperi mondiali. Non c’è dubbio da che parte dovrebbero stare gli ebrei fedeli alla loro tradizione: da quella delle nazioni. Lo stato nazionale (una terra per un popolo) è una delle importanti eredità della Torah diffusa in Occidente, come spiega il recente libro di Yoram Hazony sul nazionalismo e aveva già spiegato il maggiore storico delle nazioni, Antony Smith. Lo stato nazionale coi suoi confini è lo spazio in cui si esercita la libertà di un popolo e anche le minoranze possono essere tutelate. In sua assenza c’è l’anarchia, cioè la guerra di tutti contro tutti, o l’oppressione che ogni impero, anche quelli meglio intenzionati come l’Unione Europea, finisce con l’esercitare.

     

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