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    Parashà di Ki Tazrìa: L’ottavo giorno

    R. Joseph Pacifici (Firenze, 1928-2021, Modiin Illit) in Hearòt ve-He’aròt (p. 122) commenta il versetto di questa parashà nel quale è scritto che la milà deve essere fatta nell’ottavo giorno (Vaykrà, 12:3). Questo significa che la milà non può essere fatta prima dell’ottavo giorno. E se per qualche motivo non può essere fatta nell’ottavo giorno è mitzvà  farla quando si può, anche se la mitzvà principale è di farla nell’ottavo giorno. 

    R. Pacifici spiega il motivo per cui va fatta proprio nell’ottavo giorno anche se il Santo Benedetto ha creato il mondo in sette giorni, senza un ottavo giorno. Gli esseri umani hanno molteplici istinti naturali (yetzarìm): l’onore, la ricchezza e il mangiare. L’istinto più forte è quello sessuale e se l’uomo viene lasciato senza alcun freno questo istinto è incontrollabile. Pertanto la Torà insegna che osservando la mitzvà della milà si aggiunge un ottavo giorno ai sette della creazione. In questo modo si vive a un livello soprannaturale e si è in grado di controllare il proprio istinto. Questa mitzvà  è uno dei principi  del popolo d’Israele la cui esistenza è soprannaturale. Per questo la mitzvà della milà viene fatta perfino di Shabbàt.  

    Nel Midràsh Tanchumà è raccontato che Tineus (dettoTyrannus) Rufus, il malvagio [governatore romano in Eretz Israel] chiese a R. Akivà: “Quali opere sono più belle? Quelle del Santo Benedetto o quelle degli esseri umani?” R. Akivà rispose: “Quelle degli esseri umani sono più belle”. Il malvagio Tineus Rufus disse: “Guarda il cielo e la terra. Sei in grado di fare qualcosa come loro?” R. Akivà gli rispose: “Non parlarmi di qualcosa che è al di sopra dei mortali, cose su cui non hanno controllo, ma di cose che sono usuali tra le persone”. Tineus Rufus gli chiese: “Perché vi circoncidete?” R. Akivà gli rispose: “Sapevo anche che mi avresti detto questo. Perciò ti avevo detto: Un’opera di un essere umano è più bella di un’opera del Santo Benedetto”. Per dimostrarlo r. Akiva gli portò spighe di grano (opera naturale) e pane bianco (opera umana). Allora Tineus  Rufus gli chiese: “Poiché il Santo Benedetto desidera la circoncisione, perché nessuno esce circonciso dal ventre di sua madre?” R. Akivà rispose con una domanda: “Perché [il neonato] esce con il cordone ombelicale e la madre lo deve tagliare?”

                Questo Midràsh è citato da r. Yudah  Loew, il Maharal di Praga (Poznan, 1520-1609, Praga) in Tifèret Israel (cap. 2).  Il Maharal spiega che Tineius Rufus sosteneva che le opere umane sono inferiori a quelle naturali, perché la natura è opera divina. Per questo sosteneva che la milà (circoncisione) era inferiore alla ‘orlà (prepuzio). R. Akivà gli rispose che non è così, perché le opere umane, che sono risultato del suo intelletto, sono superiori alla natura che è materiale.  A tal fine r. Akivà dimostrò che le opere umane sono superiori alla natura con il fatto che la madre deve tagliare il cordone ombelicale del neonato. 

                Il Maharal spiega che l’essere umano è creazione divina. È però incompleto, ed è a lui che incombe il compito di diventare un essere completo con le mitzvòt. Poiché l’essere umano ha un’anima divina non può completarsi in modo naturale ma solo con Torà e mitzvòt che sono soprannaturali. La natura è stata creata nei sette giorni della creazione. La Torà, che è soprannaturale, è di un livello superiore. Questo è il motivo per cui la milà viene fatta all’ottavo giorno. L’uomo è naturalmente creato con la orlà, e la milà rappresenta il necessario perfezionamento della natura.  Così è  giusto che sia perché le opere dell’uomo, in quanto essere dotato di intelligenza, sono di livello superiore alla natura che è materiale.

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