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    ‘’I Giusti Tra le Nazioni’’. 70 anni di Yad Vashem

    “Am Yisrael Chai! – Il Popolo di Israele è vivente!” Così inizia una delle più famose canzoni ebraiche che risuona in varie ricorrenze festose come il Giorno dell’ Indipendenza di Israele, Yom Hazmaut. Personalmente avrei l’obbligo di cantare questa strofa ogni mattina nel ricordo di coloro che contribuirono alla salvezza di mio padre durante la Shoah, ne favorirono ed appoggiarono la fuga in Svizzera e lo sostentarono economicamente fino alla fine della guerra nei vari luoghi dove trascorse oltre un anno e mezzo lontano dai suoi cari. Già, dovrei ricordare ogni giorno che sono viva perché papà è stato salvato. Egli ha avuto la fortuna, certamente l’aiuto del Cielo, di incontrare uomini fidati sul suo cammino, persone che non lo hanno tradito ma altresì aiutato a scappare e mettersi in salvo. Non a tutti è andata bene, purtroppo. E ogni volta che sfoglio testimonianze, leggo racconti o quelle poche parole pesanti come macigni “… deportato ad Auschwitz… non sopravvissuto…”, beh… mi assale lo sconforto e sento il peso, la responsabilità di una cosa che oggigiorno sembra diventata così rara e tremendamente difficile da esprimere. Sto parlando della riconoscenza, rivolta anzitutto al Signore che ha permesso che io nascessi. E poi ai Salvatori di mio padre.

    La riconoscenza non è un’opzione ma un obbligo. E quando si parla di vita e di salvezza la faccenda diventa tremendamente seria. Entriamo nel sacro, perché la Vita è sacra. E coloro che l’hanno difesa sono sacri. Questi sono i “Chasidei Umot Ha Olam”, i Pii, i Benefattori delle Nazioni del Mondo, più comunemente conosciuti come “Giusti Tra le Nazioni”: uomini e donne non ebrei, talvolta conosciuti e molto più spesso persone comuni,  non certo degli eroi, ma che di fronte al sopruso nei confronti di un ebreo perseguitato hanno scelto di difendere la Vita. Nessuno nasce eroe, ma in un certo momento della propria esistenza lo può diventare: ecco dunque che una madre di famiglia diventa staffetta partigiana; o un appassionato di montagna diventa guida che accompagna oltre la rete metallica la mamma e i suoi bambini incontro alla salvezza, sfidando burroni, neve e soprattutto fascisti e nazisti. Questi eroi per caso sono i “Giusti Tra le Nazioni”, coraggiosi e sacri Salvatori di ebrei durante la Shoah, onorati e riconosciuti dal Memoriale della Shoah Yad Vashem di Gerusalemme, unico Ente al mondo a concedere una medaglia al valore civile a favore di chi ha rischiato la propria vita per proteggere – e salvare – quella di un ebreo perseguitato.  

    Il Memoriale Yad Vashem di Gerusalemme quest’anno celebra 70 anni: era il 1953 quando fu fondato in un neonato Stato di Israele diventato la patria di migliaia e migliaia di sopravvissuti alla Shoah. E nel Memoriale – a fianco di padiglioni e spazi in ricordo dei sei milioni di vittime ebraiche – veniva istituito anche il Dipartimento Giusti Tra le Nazioni, cresciuto negli anni con il Giardino dei Giusti, il Muro d’Onore e gli uffici che lavorano alacremente senza sosta per portare avanti la riconoscenza. 

     

    Anche in Italia si sentì il dovere di affiancare la riconoscenza al ricordo delle migliaia di amici, padri, nonni, sorelle mai più tornati dallo sterminio nazifascista. E nel decimo anniversario della Liberazione fu istituita la cosiddetta “Giornata della Riconoscenza“ in tutte le Comunità israelitiche italiane, con la consegna di medaglie ed attestati di benemerenza ai tanti Salvatori citati dagli altrettanti innumerevoli ebrei salvati. Già, innumerevoli… Più o meno 30000 persone, l’80% circa dell’ebraismo presente in Italia negli Anni ’40.

    Allora mi chiedo: come mai nel 1955, a dieci anni appena dalla fine della guerra, con la tragedia della Shoah ancora viva sulla pelle e nella memoria, i nostri padri, madri, nonni, nonostante avessero famigliari deportati o sopravvissuti ai campi di sterminio, hanno in gran numero aderito alla “Giornata della Riconoscenza” e risposto all’appello delle Comunità inviando centinaia di lettere e testimonianze struggenti, dettagliate e cariche di gratitudine per essere ancora in vita? Perché una gran parte di queste preziose testimonianze (che ci auguriamo siano tuttora archiviate) non è mai giunta negli anni allo Yad Vashem? Perché allora si parlava di riconoscenza  mentre oggi – a quasi 80 anni dalla fine della guerra – si parla molto di delatori, traditori, indifferenza e poco di quella riconoscenza manifestata nel lontano 1955 dai nostri padri? Cosa è mai successo in pochi decenni? È certo che vi furono delatori, come vi fu silenzio e indifferenza da molte parti, ma è altrettanto vero che furono tanti quelli che vi si opposero. Emblematico è il caso di due fratelli ebrei e delle due portinaie di Milano: il primo abitava in Via Ciro Menotti nel condominio di una portinaia delatrice. Fu tradito, scappò con la moglie cercando rifugio in Garfagnana dove purtroppo entrambi furono catturati dai fascisti e deportati ad Auschwitz da cui non fecero ritorno. Il secondo invece abitava in Viale Bianca Maria nel condominio di una portinaia coraggiosa: più volte minacciata di morte dalle milizie fasciste – che periodicamente le facevano visita – se avesse mentito, continuò a dichiarare che nel condominio non c’erano ebrei. E con lei mentirono tutti gli inquilini del condominio fino al 25 aprile 1945, salvando così il vicino ebreo dalla deportazione. Cercherò in tutti i modi di portare questa nobile portinaia al riconoscimento di “Giusta Tra le Nazioni” se nessun altro agirà nel frattempo (e sono già trascorsi quasi 80 anni dai fatti). Il bene e il male sono le due facce dell’animo umano e corrono su binari paralleli, come i delatori e gli eroi… Tanti innocenti non si salvarono solo perché si trovavano, purtroppo, sul binario sbagliato – ed è obbligatorio ricordarlo – come le mie sventurate zie Jole ed Elisa. Ma quando si affronta un tema come la Shoah non deve essere mai dimenticato il Bene, la parte sana dell’Italia che ha dato luce ed infuso speranza ad un Paese sprofondato nell’ orrore. E dunque riflettiamo: nel soffermarci troppo spesso sul male abbiamo forse perduto per strada la nostra anima? O il bisogno disperato di avere risposte per capire l’incomprensibile e il trauma mai guarito dell’immane tragedia sofferta dalle nostre famiglie ci hanno resi duri e impermeabili ai buoni sentimenti? Lascio a chi legge la risposta, con l’invito ad una seria e pacata riflessione. I Salvatori italiani, i cui nomi sono spesso scritti in grassetto e sottolineati nelle centinaia di testimonianze depositate negli archivi delle Comunità ebraiche italiane stanno attendendo giustizia da quel lontano 1955. Credo sia giunto il tempo della riconoscenza.  

    Paola Fargion: nata a Milano nel gennaio 1957, dopo la laurea in Scienze Politiche ha lavorato in Zambia per le Nazioni Unite e in Zimbabwe nell’ambito della Cooperazione allo sviluppo. Ha poi seguito un corso Master presso l’Università Bocconi di Milano e continuato professionalmente nelle Divisioni Marketing e Vendite di importanti aziende italiane e multinazionali. Appassionata di viaggi, letture e cultura ebraica, scrive poesie e finora ha pubblicato 5 romanzi con Rusconi Libri e puntoacapo Editrice. Da anni è impegnata sul tema della Shoah e della Memoria a livello nazionale per aiutare nel riconoscimento di salvatori non ancora elevati al titolo di “Giusto Tra le Nazioni” dal Memoriale Yad Vashem di Gerusalemme.  

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