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    Banalizzazione e distorsione della Shoah: le nuove sfide di Yad Vashem

    «Vorrei iniziare con una buona notizia. Il negazionismo è diventato un fenomeno marginale. La novità preoccupante, semmai, è che negli ultimi due anni abbiamo assistito all’aumento di altri pericolosi comportamenti: la distorsione e la banalizzazione della Shoah». Dani Dayan, da sei mesi alla guida dello Yad Vashem di Gerusalemme, quando incontra giornalisti e diplomatici in occasione del Giorno della Memoria cerca di dare un segnale positivo. Senza però abbassare la guardia di un millimetro. Anzi, ribadisce, «non dobbiamo consentire la proliferazione di questi fenomeni per nessuna ragione e in nessuna circostanza. L’antisemitismo va contrastato con forza, convinzione e tempestività».

     

    Nonostante il trend in calo evidenziato da Dayan, i negazionisti non sono scomparsi del tutto. Si annidano ancora nei meandri delle frange estreme che si esprimono al megafono dei social media. Dove, del resto, si trova un po’ di tutto. Ma oggi, sostiene il presidente di Yad Vashem, nessun leader mondiale rispettabile, nessun giornalista o intellettuale, nessun artista o influencer che sia, si permetterebbe di affermare apertamente che la Shoah sia solo un’invenzione. O di negare le camere a gas o i milioni di ebrei assassinati dai nazisti. «Con poche eccezioni», precisa l’ex Console Generale di Israele a New York. Ad esempio l’Iran o altri gruppi fondamentalisti islamici.

     

    Il merito di questo risultato, che almeno in parte accende la speranza su uno scenario globale affatto ottimista, è da riconoscere all’opera incessante dello Yad Vashem stesso. Ma anche agli sforzi diplomatici, e, sottolinea Dayan, alla chiarezza ribadita in aule di tribunali autorevoli, come nel caso del processo Irving contro Lipstadt, nei primi anni ’90. La storia dello scontro legale tra il professore negazionista che citò in giudizio una stimata accademica per averlo diffamato con l’accusa di aver diffuso notizie false sullo sterminio nazista degli ebrei divenne anche un apprezzato film, Denial, nel 2016. La professoressa Lipstadt fu assolta e a Irving rimase appiccicata ufficialmente l’etichetta di negazionista.

     

    Ciò che preoccupa il capo del Centro Mondiale per la Memoria della Shoah è il comportamento di quei governi che, pur ammettendo inequivocabilmente la tragedia dei campi di concentramento e dello sterminio degli ebrei, sostengono che «i loro cittadini erano tutti giusti tra le nazioni. Sappiamo che questo è storicamente falso. In ogni singola nazione che sia stata sotto l’occupazione o l’influenza nazista, c’è stato un gran numero di collaborazionisti». Oppure, continua Dayan nel suo catalogo di distorsioni, un altro episodio si è registrato recentemente in una delle ex repubbliche sovietiche. E si riferisce al caso della Bielorussia, sotto tiro per una legge che equipara la Shoah ai crimini nazisti contro i suoi cittadini per motivi di nazionalità. Secondo gli storici israeliani la nuova legislazione costituirebbe perfino una forma di negazionismo. «Ma la distorsione di un evento selezionato e presentato fuori contesto è molto più insidiosa del negazionismo», sostiene Dayan. Sbugiardare chi manipola un singolo fatto all’interno della cornice della Shoah richiede una maggiore dose di conoscenza. «A Yad Vashem siamo molto impegnati su questo fronte», assicura.

     

    Altrettanto preoccupante è il fenomeno della banalizzazione, figlio della pandemia, e  che, ricorda l’ex diplomatico, «non risparmia nemmeno Israele, purtroppo». Paragoni tra il Green Pass e la Stella gialla, confronti oltraggiosi tra medici rispettabili come il Dottor Fauci e Josef Mengele, l’angelo della morte di Auschwitz. O il riferimento a vittime della Shoah come Anna Frank da parte di personaggi pubblici come Robert F. Kennedy Jr. in un recente comizio no-Vax. «Yad Vashem deve vigilare – ribadisce il presidente dell’istituzione -. Lo dobbiamo tanto alle vittime quanto alle generazioni future».

     

    Ecco allora la strategia di coinvolgimento di Dani Dayan per i prossimi anni. E’ un appello rivolto a tutti i governi, affinché consentano il libero accesso e la libera consultazione per motivi di ricerca di ogni archivio che contenga documenti che hanno a che fare con la Shoah. Soprattutto in un momento in cui i sopravvissuti, i testimoni diretti dello sterminio, sono sempre meno, e vanno naturalmente scomparendo. «Negli archivi, che per noi di Yad Vashem sono una vera ossessione, sono conservate, in alcuni casi ancora inedite, le testimonianze di tutti, anche dei sei milioni di morti». L’importanza della memoria per Dayan risiede in una certezza: «Ciò che è successo una volta, può accadere di nuovo».

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