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    Gas e petrolio da alcuni inaffidabili. Ma adesso è arrivato un nuovo player

    Gli italiani seguono con apprensione gli sviluppi di una crisi imprevista dopo la pandemia che ha già sconvolto il paesaggio economico e sociale. La guerra nell’est costringe quanti sono alla guida del governo a disegnare nuovi profili nelle alleanze strategiche dell’economia globale, sperando che il conflitto non si estenda e che errori di calcolo delle parti in causa non provochino una escalation militare di proporzioni inimmaginabili. Il vaccino anticovid fu disponibile meno di un anno dopo l’inizio della pandemia, e si è rivelato efficace, ma gas e petrolio sono prodotti grezzi della natura. L’intelligenza umana provvede semplicemente a estrazione, raffinazione e distribuzione. Il problema vero è il gas necessario per le centrali che ci assicurano l’energia elettrica. Per quanto si possa e si voglia trivellare, non disponiamo di nuove risorse importanti in sostituzione del gas russo. Ci sono giacimenti in paesi non lontanissimi. Parliamo comunque di migliaia di chilometri da superare, sia pure con tecnologie d’avanguardia. Semplici tubi di diametro adeguato, e la tecnologia accelera sicurezza e velocità di impianto. Anche a grandi profondità nel Mediterraneo. Ci siamo precipitati in Algeria, paese al quale già ci collega un gasdotto potente e ultramoderno. Ma l’Algeria è da decenni a rischio guerra con il confinante Marocco, cui siamo legati da secolare amicizia. La materia del contendere è una fetta di Sahara grande il doppio dell’Italia. Altri tubi ci connettono alla Libia, e ne conosciamo la situazione di totale instabilità. Dopo la Guerra di Kippur dell’ottobre 1973 i produttori arabi di petrolio bloccarono le esportazioni verso i paesi europei e gli USA, in quanto ritenuti “colpevoli” di sostenere Israele. Re e sceicchi di quel tempo chiedevano una radicale mutamento di indirizzo sul campo della politica internazionale. Balla galattica, si direbbe oggi. Però i prezzi triplicarono. Solo l’Olanda osò resistere. Europa a luci spente fu il titolo di Shalom. Fortunatamente adesso nella partita è comparso un nuovo player, che si è rivelato fondamentale. Israele ha scoperto al largo delle proprie coste due enormi giacimenti, già in produzione, e a differenza di altri è un partner affidabile. Ma non ci sono tubi. Mancano tubature anche per l’Egitto. Con il governo egiziano l’Italia ha un contenzioso grave, che tutti conoscono. Il gas estratto va liquefatto per il trasporto su nave e poi riportato allo stato gassoso per la distribuzione. Un processo costoso e decisamente poco green. Presso altri attori internazionali di scarsa affidabilità la Casa Bianca ha invece deciso di giocare un’alternativa del diavolo, sperando di neutralizzare l’orso russo aggressore.  Vogliono aprire le gabbie che bloccano con le sanzioni l’economia del Venezuela nei Caraibi e dell’Iran sullo scacchiere mediorientale. Regimi autoritari e imprevedibili. Si vorrebbe riportare dunque sul mercato europeo il petrolio iraniano. L’Iran protegge Hezbollah in Libano, Hamas a Gaza, Assad in Siria e alimenta nello Yemen la guerra degli Huthi contro il Regno saudita.  Dal 1979 gli ayatollah di Teheran sostengono che Israele non ha il diritto di esistere come Stato ebraico, e che il “regime sionista” va cancellato dalle carte geografiche. Forse qualche volenteroso leader occidentale si è accorto che il presidente russo ha usato lo stesso metro di valutazione riferendosi all’Ucraina. Nonostante il diluvio di dolore che viene riversato da tutte le TV grandi o piccole che siano, e scorre poi sui social senza argini di decenza, i giusti sono in numero sufficiente per alleviare la sofferenza. E non hanno tempo da perdere nei talk show. Le guerre spietate e inutili come quella scatenata contro l’Ucraina provocano morte tra chi le combatte e profitti inverosimili tra chi le alimenta. I miliardi non bastano e quindi si deve calcolare con i trilioni. Ancora una volta le fonti di energia regolano il grande gioco della geopolitica. Da Glasgow qualcuno deve essere rientrato con parecchio scotch whisky nella valigia e quindi ha dimenticato in fretta le politiche green, come pure il global warming che sta liquefacendo la Groenlandia. L’unico liquefatto che conta in questo momento è il gas da trovare in sostituzione di quello russo. Arriverà il gas liquido, dunque, ma mancano gli impianti classificati con il fastidioso neologismo della “rigassificazione”. Naturalmente tutti se la prendono con gli ambientalisti che giustamente volevano salvare quel che resta delle coste italiane devastate dal cemento selvaggio, ma poco si sono informati sull’atomo di ultima generazione. Inutile citare, anche per non rischiare diffide e querele, quali sono i signori del gas e del petrolio che approfittarono del disastro di Chernobyl facendo fermare per decenni i programmi oggi soprannominati “transizione verde”.

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