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    Gli islamisti non vogliono gli ebrei sul Monte del Tempio. E il governo Bennett traballa

    C’è stato qualche incidente nel pomeriggio di domenica sul Monte del Tempio, quando le autorità islamiche hanno invitato i loro fedeli a cercare di impedire l’accesso degli ebrei. Domenica era Tishà beAv,  il 9 del mese di Av, la ricorrenza più triste del calendario liturgico ebraico, in cui si ricordano le due distruzioni del tempio di Gerusalemme e altri eventi luttuosi della lunga storia del popolo ebraico. Normalmente questa data viene marcata da un digiuno molto stretto, dalla recitazione del libro biblico delle “Lamentazioni” (Eichà) e da altre manifestazioni di lutto; ma dopo la liberazione della città vecchia di Gerusalemme alcuni gruppi di sionisti religiosi hanno preso il costume di celebrarla salendo sul Monte del Tempio, mettendo in luce una possibilità che è stata negata al popolo ebraico per due millenni. E’ un gesto che altre autorità religiose ebraiche  proibiscono per ragioni di purità rituale, ma che non ha in sé nulla di politico o di provocatorio: rievoca solo con forza il legame spirituale ininterrotto degli ebrei col loro luogo più sacro sottolineando le distruzioni del passato e la costruzione attuale di uno stato ebraico. Ma è proprio questo attaccamento che suscita l’ira degli islamisti, perché esso contraddice la loro pretesa continuamente riaffermata che gli ebrei non abbiano nulla a che fare con Gerusalemme e con la Terra di Israele. Una pretesa assurda alla luce della storia, dell’archeologia, della testimonianza della Bibbia e di numerosi storici antichi, che fra l’altro contraddice anche le scritture cristiane e perfino il Corano, ma che viene continuamente rilanciata dalla propaganda palestinista. Di recente un alto funzionario dell’Autorità Palestinese si è spinto a sostenere che i regni di Saul e di Davide e la storia ebraica successiva, innegabile per lui in quanto diverse volte citate dal Corano, si siano svolte… in Yemen.

     

    Vale la pena di riflettere su questa intolleranza. Perché essa mostra come l’obiettivo palestinista non sia l’affermazione dei diritti degli arabi palestinesi, cui nessuno ha mai impedito di pregare nelle loro moschee in Israele e anche in particolare nella moschea di Al Aqsa che ha sede sul Monte del Tempio, ma di proibire di farlo agli ebrei (e anche ai cristiani, cui è per esempio già vietato far vederele loro croci al collo quando vi  salgono da turisti. Del resto, finché la città vecchia di Gerusalemme era in mano alla Giordania, nonostante gli accordi armistiziali e le delibere dell’Onu che garantivano a tutti la libertà di preghiera, gli ebrei non poterono entrarvi (e la sinagoghe furono abbattute e le lastre tombali furono usate per lastricare le strade e peggio). Alla fine della guerra dei Sei Giorni, quando il Monte del Tempio fu liberato con il resto di Gerusalemme, Giudea e Samaria, fu Moshé Dayan a decidere di lasciare l’amministrazione del Monte alla fondazione giordana (il cosiddetto Waqf) che la gestiva. Il che naturalmente non significa riconoscerne l’extraterritorialità, come vorrebbero oggi gli islamisti. Ma Israele è il solo luogo in Medio Oriente in cui ogni religione è libera di praticare apertamente i propri riti.

     

    C’è un altro punto che merita di essere sottolineato a proposito di questi incidenti, piccoli ma significativi. La forza politica che più si è spesa nel condannare la pacifica visita religiosa degli ebrei sul Monte del Tempio è la Lista Araba Unita (Ra’am) che fa parte del governo israeliano: “Mettiamo in guardia i coloni e i membri della Knesset dal tentativo di irrompere nella moschea di Al Aqsa e avvertiamo di [possibili] gravi disturbi dell’ordine che potrebbero portare a una guerra di religione regionale”, ha affermato Ra’am in una dichiarazione domenica. […] Non accetteremo preghiere e il canto dell’Hatikva [inno nazionale israeliano] nel cortile della moschea, tutti i 35,6 acri dei quali sono di proprietà islamica”.

     

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