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    Israele – Turchia: l’incontro a Gerusalemme fra i ministri degli esteri dei due paesi. Una svolta possibile

    Una visita storica

     

    Si è conclusa ieri la visita in Israele del ministro degli Esteri della Turchia Mevlut Cavusoglu: un piccolo evento storico dato che una presenza del genere non si era avuta da quindici anni, dopo un lungo periodo di amicizia fra i due paesi.  Cavusoglu è andato anche a Ramallah a parlare con Mohamed Abbas, ha visitato il Monte del Tempio (che per lui è la spianata delle Moschee, naturalmente), ha parlato con esponenti politici israeliani di primo piano, soprattutto con Yair Lapid, ministro degli Esteri di Israele e uomo forte del governo.

     

    Un passato che pesa

     

    Esponenti turchi di primo piano non visitavano Israele da prima dell’incidente della Mavi Marmara,  la nave battente bandiera turca che il 31 maggio del 2010, alla guida della flottiglia che cercava di rompere il blocco militare israeliano a Gaza, aveva rifiutato di fermarsi alle intimazioni della marina israeliana. Il piccolo gruppo di militari israeliani che era salito sulla nave per prenderne il controllo, secondo le procedure del diritto internazionale, era stato accolto a spari e coltellate e allora era scattato un contrattacco, che aveva provocato nove morti fra i miliziani turchi che avevano cercato di sequestrare e ferito gravemente i militari israeliani. Ne era seguita una durissima polemica fra Israele e la Turchia, poi terminata con un conguaglio economico alle famiglie dei morti grazie a una mediazione americana. Ma i rapporti erano rimasti molto ostili. Anche perché già un anno prima, nel gennaio del 2009, l’allora primo ministro turco e oggi presidente Erdogan aveva brutalmente attaccato Shimon Peres al convegno di Davos. E in generale Erdogan, che è molto vicino alla Fratellanza Musulmana il cui braccio “palestinese” è Hamas, ha sempre mostrato malanimo nei confronti di Israele, almeno da quando è andato al potere, nel 2003.

     

    Un gasdotto in comune?

     

    Nonostante questa distanza ormai consolidata, Erdogan ha chiaramente deciso che ora vuole riallacciare rapporti più stretti con Israele. A marzo ha ricevuto ad Ankara il presidente di Israele Herzog, più come segnale che per un negoziato politico concreto, dato che i presidenti israeliani non hanno poteri sulla politica estera. Ha offerto con insistenza allo Stato Ebraico una partnership energetica, proponendo un gasdotto che parta dai giacimenti marini che Israele ha valorizzato negli ultimi anni, passi dalla Turchia e arrivi in Europa. Ma il sottinteso di Erdogan era che a questo fine Israele avrebbe dovuto rinunciare all’alleanza con la Grecia e Cipro, nemici storici della Turchia e però essenziali alla sicurezza di Israele. E il gasdotto non è andato avanti. L’Unione Europea ha in corso trattative per il gas israeliano, di cui ha molto bisogno per sostituire quello russo, ma è probabile che il trasporto avvenga almeno per questa fase dall’Egitto, con gas liquefatto e non per via di un gasdotto, che andrebbe progettato e costruito.

     

    Siria, Iraq, Caucaso

     

    Vi sono altri due teatri in cui la Turchia ritiene di potersi coordinare con Israele. Uno è il Caucaso, dove Israele ha bisogno dell’Azerbaijan per contrastare l’Iran, e la Turchia considera gli azeri parte del suo retroterra storico. L’altro è il teatro della Mesopotamia, dove ancora l’avversario comune è l’Iran, la presenza che si sta indebolendo è quella russa, chi si è ritirato quasi del tutto sono gli americani. La Turchia vuole combattere i curdi in Iraq e Siria anche al di là suo territorio, ma Israele ha rapporti storici consolidati con loro e non è certamente favorevole agli sconfinamenti turchi. In generale la Turchia incomincia a temere l’armamento nucleare e l’imperialismo iraniano e a sentirsi più vicina ai paesi arabi sunniti che negli ultimi anni hanno normalizzato i loro rapporti con Israele. Questo è il punto centrale, ma bisogna vedere se e come si concretizza.

     

    L’economia

     

    Vi è poi l’economia: la Turchia è in gravissima crisi finanziaria, avrebbe bisogno del commercio, degli investimenti e del turismo da Israele, che potrebbe trovare conveniente far ripartire dei traffici che hanno una storia lunga e importante. Ma il problema è che la Turchia, in questo come in altri campi, è inaffidabile, dipende dai colpi di testa di Erdogan, che per esempio ha combinato veri e propri disastri finanziari obbligando la sua banca centrale a una politica inflattiva.

     

    Gli interessi di Israele

     

    Israele vuole che la Turchia smetta di essere una base logistica e una sponda politica per Hamas. Desidera anche che Erdogan smetta di interferire su Gerusalemme, come ha fatto negli ultimi anni, investendo molti soldi nell’acquisto di immobili, nel sostegno di organizzazioni “religiose” palestinesi, nella propaganda islamista. Ritiene anche necessario che sul piano diplomatico e politico la Turchia smetta di demonizzare Israele a ogni piè sospinto e appoggi invece gli “Accordi di Abramo”. Se deve esserci una ripresa di buoni rapporti, bisogna che essa sia pubblica, ufficiale, completa.

     

    In conclusione

     

    Queste sono le cose che devono essersi detti Lapid e  Cavusoglu nel loro incontro. E’ improbabile che abbiano già trovato un punto di equilibrio. Ma in politica internazionale parlare con franchezza dei rispettivi interessi e dei punti di contrasto è già un risultato importante. Al di là delle dichiarazioni, vedremo nei prossimi mesi ed anni se la Turchia vorrà allinearsi, almeno in parte dalla parte dei paesi che intendono tutelare lo status quo del Medio Oriente contro i tentativi imperialisti dell’Iran e se ritiene di poterlo fare riaprendo con Israele quel dialogo che prima di Erdogan era importantissimo.

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