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    Israele e resilienza: ecco il boom delle Alyhot

    Sono sempre di più gli ebrei del mondo che aprono la pratica dell’Alyah. Nel 2020 c’è stato un aumento incredibile di domande, aumento che si registra anche nei primi mesi del 2021. Idealismo, Sionismo, opportunità, ricongiungimento con i propri famigliari, sono sicuramente ancora gli elementi che contribuiscono alla scelta degli Olim. Ma la pandemia ha provato che Israele è il paese della resilienza, «che ha saputo affrontare in modo virtuoso situazioni difficili, come la catastrofe del Covid – 19» spiega Arielle Di Porto, direttore del Dipartimento Alyah dell’Agenzia Ebraica in Israele. Le abbiamo chiesto di raccontare a Shalom cosa distingue i nuovi o aspiranti Olim rispetto a quelli del passato, in questo momento di grandi cambiamenti. 

     

    Come mai c’è stato un incremento dell’Alyah in tutto il mondo ed in Italia così forte malgrado la pandemia?

     

    I fatti che Israele abbia avuto un sistema medico di livello altissimo e abbia gestito in modo esemplare la pandemia sono tra le ragioni che hanno determinato un incremento molto importante delle aperture delle pratiche per le Alyhot. Malgrado la pandemia e la chiusura delle frontiere nel 2020 hanno fatto l’Alyah 22.000 Olim da tutto il mondo. Alla componente Sionista che spinge chi apre la pratica per trasferirsi in Israele, si aggiunge sicuramente quella economica, visti i tempi di crisi. Adesso in Italia abbiamo un incremento del 25% delle richieste, e questo è dovuto alla pandemia ma anche e soprattutto a ciò che Israele ha dimostrato: ovvero di poter affrontare qualsiasi problema, qualsiasi crisi, persino una pandemia, un evento mondiale devastante, e quindi questa capacità di resistere e reagire motiva in qualche modo gli ebrei del mondo a fare l’Alyah. Alla componente sionista di chi vuole andare a vivere in Israele, si aggiunge una forte spinta data dalla resilienza del paese.

     

    Chi sono gli italiani che chiedono di fare l’Alyah, che età hanno?

     

    Il 58% degli italiani che aprono la pratica hanno più di 55 anni, il 10% sono tra i 18 e i 35 anni, il 22% sono bambini fino ai 17 anni. Rispetto a prima la media dell’età è aumentata. Si può dire che assistiamo ad una tendenza meno giovane rispetto al passato, ma questo è un fenomeno generale e non solo italiano. Questo perché è più facile partire quando si è pensionati, molti hanno figli o nipoti in Israele, ma anche in questo la pandemia, che ha colpito più duramente le fasce più deboli della società, dunque gli anziani, ha reso Israele un porto sicuro per queste persone. 

     

    Come gestisce l’Agenzia Ebraica l’Alyah e cosa è cambiato in tempo di pandemia? 

     

    Noi abbiamo il mandato del Ministero degli Interni di occuparci delle Alyhot, e l’Agenzia Ebraica lavora secondo le norme e le leggi israeliane. Secondo la Legge del Ritorno per fare l’Alyah bisogna dimostrare di andare in Israele per viverci, per rendere il paese “il centro della propria vita”, e non solo per prendere il passaporto. Questo è ciò che richiede Israele. I documenti che bisogna presentare devono corrispondere e ciò che vuole la legge, come accade in tutti gli altri Paesi, quando si chiede di prendere la cittadinanza. È assolutamente un nostro dovere verificare che chi chiede di fare l’Alyah voglia realmente vivere in Israele. Con la pandemia abbiamo fatto moltissimi cambiamenti, il Ministero degli Interni ci ha autorizzato a fare i colloqui dell’Alyah su Zoom. Abbiamo incrementato il personale per rispondere a tutte le richieste, lavoriamo sei giorni a settimana, sino alle 10 di sera. Israele in tempo di pandemia, malgrado la chiusura delle frontiere, ha permesso di entrare non solo agli israeliani ma anche agli Olim. Tutti gli ebrei pensano nella loro vita che di fronte ad uno scenario catastrofico, di pericolo, Israele rappresenti un rifugio, ed è esattamente così.

     

    Le difficoltà dell’iter, i documenti da produrre, i tempi lunghi per ottenerli, sono oggetto di critiche. Come stanno le cose?

     

    Noi facciamo di tutto per facilitare l’Alyah, ma i documenti vanno prodotti. Abbiamo tutti i mezzi per agevolare gli aspiranti Olim, abbiamo un global center che risponde in inglese, stiamo cercando di tradurre i documenti in italiano. Abbiamo un rappresentante a Roma, Hovav Bustan, che lavora, gira l’Italia per visionare i documenti e fare i colloqui. Mai si è pensato di chiudere la sede l’agenzia ebraica a Roma. Stiamo parlando di pochissimi documenti da produrre, che sono in confronto ad una scelta di vita? 

     

    Ci sono casi di ritorno al paese di origine che denotano scelte non sufficientemente soppesate?

     

    Lo Stato d’Israele mette in conto che circa l’8% degli Olim tornino nei paesi di origine. E’ vero che alcuni vengono, prendono il passaporto, e vanno via. Lo Stato d’Israele ha bisogno dell’Alyah autentica, perché ogni Alyah porta prosperità allo Stato, quindi noi facciamo di tutto per facilitare l’iter. 

     

    In una frase conclusiva quale è il tuo consiglio?

     

    L’Alyah non è una scelta facile. È una scelta che va ponderata, per cui bisogna prepararsi. E noi siamo qui per aiutare tutti quelli che vogliono farla.

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