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    L’aritmetica del successo

    È appena passato Yom Haatzmaut e tutto il mondo ebraico ha festeggiato il settantatreesimo anniversario dello stato di Israele, con la serena convinzione di gioire non solo per un compleanno di famiglia, ma per un successo oggettivo. Voglio usare questo articolo per dare qualche dato che giustifica questo sentimento. 

     

    Partiamo dalla popolazione. 73 anni fa, i cittadini del nuovo stato erano 806 mila. Divennero 2 milioni nel ‘58, oggi sono 9.327.000 di cui 6.894.000  ebrei (circa il 74% della popolazione israeliana, ovvero il 48% di  tutti gli ebrei del mondo); 1.966.000 (21%) sono arabi musulmani e cristiani, 467.000 (5%) sono classificati come “altro”. Quest’anno sono nati 167 mila bambini, sono arrivati 30 mila nuovi immigrati. In totale, dalla fondazione dello stato, gli immigrati sono stati 3,3 milioni. Oggi però il 78% degli israeliani ebrei è sabra (nati in Israele). I morti sono stati 50 mila, cioè molto meno dei nuovi cittadini, il che determina una popolazione giovane (28% sotto i 14 anni, contro il 12% con più di 65 anni). Ne deriva la previsione di una forte crescita demografica: si calcolano 11,1 milioni per il 2030, 13,2 milioni per il 2040, 15,2 milioni al centenario del 2048. Il reddito medio per persona è di 42.570 dollari (subito sotto all’Italia, che ne produce 43.376, ma sopra a buona parte dei paesi europei, fra cui la Spagna (41.546), per non parlare della Russia (29.485), o di vicini come la Turchia (32.278) e l’Egitto (29.485) o nemici come l’Iran (13.513). Vale la pena di ricordare che il progresso di Israele è notevolissimo: nel 2017 il dato era  di 36.200 dollari. (fonte: https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_GDP_(PPP)_per_capita). Nella crisi del Covid l’economia israeliana ha tenuto meglio delle altre: ha perso il 2,5 % conbtro il 3,5% degli Usa e il 6,6 dell’UE. Più del 10% degli israeliani lavora nell’alta tecnologia, il 12% nell’insegnamento.

     

    I soldi non sono tutto nella vita. Ma c’è un indice di “felicità” che misura come ci si sente nei vari paesi (https://worldhappiness.report/ed/2021/happiness-trust-and-deaths-under-covid-19/). Il primo paese al mondo in questa classifica è la Finlandia, gli Usa sono il numero 14, l’Italia al 25. Israele è all’undicesimo posto, secondo paese extraeuropeo dopo la Nuova Zelanda. Nell’ultimo anno ha anche scalato una posizione, dal numero 12 all’11. Non è male per uno stato circondato da nemici, afflitto da terrorismo e forti divisioni interne. Se la felicità è un sentimento soggettivo, il benessere può essere misurato oggettivamente, sulla base dei dati sui servizi sociali, la scolarizzazione ecc. In questa classifica (https://it.qaz.wiki/wiki/List_of_countries_by_Human_Development_Index), Israele è al posto 19, alla pari col Giappone, assai prima dell’Italia (29), di molti paesi europei e naturalmente di tutti i paesi vicini; è anche in crescita, quattro anni fa era al posto 20. 

    Altri dati alla rinfusa (tratti da https://jewishwebsite.com/featured/73-fun-facts-about-israel/68927/): Israele ha il più alto numero di donazioni di reni pro capite nel mondo: 1.005 negli ultimi 11 anni; continua a guidare la classifica mondiale della popolazione totale che ha ricevuto almeno una dose del vaccino COVID-19 e nel numero di dosi di vaccinazione somministrate per 100 persone nella popolazione totale; ricicla il 90 percento delle acque reflue, un primato mondiale; ha più musei in rapporto alla popolazione di ogni altro paese al mondo; lo scorso anno le società israeliane hanno raccolto il record di 10 miliardi di dollari di investimenti. Insomma, le ragioni oggettive per essere fieri dello stato ebraico ci sono tutte.

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