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    La crisi del governo Bennett si fa più profonda con due nuove sconfitte alla Knesset

    L’agonia della coalizione di governo

     

    Due nuove sconfitte parlamentari per la sempre più traballante coalizione di governo israeliana presieduta da Naftali Bennett hanno segnato l’inizio di una settimana politica che promette di essere molto agitata. Entrambe dipendono da peculiarità del sistema politico israeliano, che possono riuscire poco chiare a un italiano, ma sono destinate ad avere conseguenze politiche importanti. 

     

    La mancata riconferma di Kahana

     

    La prima riguarda un fedelissimo di Bennett, Matan Kahana, che come ministro dei servizi religiosi ha tentato durante l’anno in carica riforme, discusse e accolte da durissime polemiche, sulla sorveglianza dell’accettabilità religiosa del cibo (kasherut) e sulle conversioni. Qualche settimana fa Kahana si era dimesso non in polemica con il governo ma per appoggiarlo. In Israele infatti vige il “sistema norvegese” che consente ai parlamentari nominati ministri di farsi sostituire provvisoriamente dai primi non eletti. Così aveva fatto Kahana, ma il suo sostituto era sospetto di voler lasciare la maggioranza. Allora il ministro aveva rinunciato alla sua carica; superata la crisi con il sostituto, Bennett aveva cercato di rinominarlo ministro, ma per questo c’è bisogno dell’approvazione parlamentare e il voto è finito in parità, 55 a 55, il che per le regole della Knesset è una bocciatura. Kahana forse potrà tornare a gestire il ministero dei servizi religiosi come vice-ministro, per cui non c’è bisogno di voto parlamentare, ma la sconfitta riguarda la struttura stessa del governo e in particolare il partito del primo ministro (una sua dissenziente ha fatto mancare il voto decisivo): altro che “una scalfittura sull’ala”, come ha dichiarato Kahana, ex pilota militare.

     

    La legge su Giudea e Samaria

     

    La situazione dei territori contesi di Giudea e Samaria non è giuridicamente definita, neppure per quanto riguarda il funzionamento dello stato ebraico. Israele ne ha evitato l’annessione che ha invece stabilito a suo tempo per Gerusalemme e il Golan; e però non li riconosce neppure come territori stranieri. Questo vuoto giuridico produce effetti paradossali: sui cittadini che vi risiedono i tribunali civili israeliani non avrebbero giurisdizione, ma solo quelli militari; essi non godrebbero del welfare; i prigionieri di sicurezza arrestati in Giudea e Samaria e giudicati con le leggi israeliani avrebbero basi giuridiche per chiedere di essere liberati ecc. Per risolvere questi problemi, da cinquant’anni la Knesset approva delle leggi provvisorie, valide per cinque anni, che estendono certi aspetti della statualità israeliana in Giudea e Samaria. L’ultima edizione della legge risale al ‘17 e scade a fine giugno; c’è dunque bisogno urgente di votarne una nuova. Per ragioni ideologiche essa però non piace affatto ad alcune componenti essenziali della coalizione, gli arabi di Ra’am e gli ultrasinistri non più sionisti di Meretz, che in parte si sono rifiutati di votarla, anche se il ministro della Giustizia che ha competenza su di essa e l’ha proposta, Gideon Sa’ar, ha posto una specie di questione di fiducia: se la legge non è approvata il governo non c’è più, ha detto. Bennett ha sostenuto che l’opposizione di destra dovrebbe votare la legge per tutelare i cittadini che abitano oltre la linea verde e che in maggioranza la votano. Ma non è così che funziona la democrazia: la maggioranza non può usare l’appoggio dell’opposizione quando non è in grado di realizzare il suo compito di governo, almeno senza concederle voce in capitolo sul programma. Di fatto l’opposizione ha votato compattamente contro e così hanno fatto due deputati dell’estrema sinistra della maggioranza e la legge non è passata per 58 a 62.

     

    Le conseguenze

     

    Non si sa bene che cosa accadrà ora. Il governo può rimettere in votazione la legge la settimana prossima e ha detto di volerlo fare. Potrebbe convincere i suoi dissidenti con concessioni varie. Ma non è detto che ci riesca e che in questa maniera non faccia invece allontanare i dissidenti della destra. Di Sa’ar si dice che sia in trattative con Netanyahu per formare un nuovo governo di destra e questa potrebbe essere l’occasione buona per staccarsi da una maggioranza debole, divisa e impopolare. Si potrebbe anche andare a nuove elezioni, con sondaggi che in questo momento premiano l’opposizione. Insomma, la situazione è confusa. Vedremo nei prossimi giorni come si risolverà.

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