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    La Dichiarazione di Gerusalemme: più che una definizione, un alibi.

    Da quasi vent’anni, istituzioni e governi si affidano a una definizione dell’antisemitismo inizialmente articolata nel 2004 e successivamente consolidata nel 2016 per identificare e combattere il fenomeno nelle sue molteplici manifestazioni. La succinta definizione, equipaggiata di esempi concreti atti ad assistere forze dell’ordine e istituzioni alla valutazione di ogni caso, è stata adottata da 29 governi, dall’Unione Europea, dall’Organizzazione degli Stati Americani, e dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, tra gli altri. Ma alla sinistra radicale, da sempre impegnata nella demonizzazione di Israele, la definizione sta stretta, perché include quei casi dove i vecchi stereotipi dell’antisemitismo riemergono nella retorica anti-israeliana, frequentemente di sinistra. Per rimediare all’imbarazzo provato dai loro ideologici compagni di strada, ora un gruppo di accademici e studiosi di storia ebraica, di Medio Oriente e dell’Olocausto – più un’impepata di pamphlettisti antisionisti – ha promulgato la Dichiarazione di Gerusalemme sull’antisemitismo, proponendo una definizione alternativa a quella ormai internazionalmente adottata, che esoneri la sinistra antisionista da ogni accusa di colludere coi nemici del popolo ebraico. In realtà, più che una definizione utile a chi, nelle forze dell’ordine e nelle istituzioni, devono determinare se un episodio di intolleranza ricada o meno nella categoria dell’antisemitismo, la Dichiarazione è un tentativo di creare un alibi per coloro che ricorrono con troppa disinvoltura a vecchi pregiudizi quando parlano d’Israele.

    La lista dei firmatari parla da sé. Ci sono intellettuali impegnati da anni a dar man forte all’antisionismo e accademici schieratisi a favore delle campagne di boicottaggio contro Israele. Ci sono israeliani e membri della diaspora che hanno regolarmente offerto, forti delle loro origini ebraiche e israeliane, un alibi agli antisemiti. 

    Ma il vero problema della Dichiarazione di Gerusalemme è che invece d’essere una proposta costruttiva su come meglio definire e combattere un pregiudizio, è un tentativo di esonerare chi, quando discute Israele, non riconosce il confine dove la critica si impadronisce di stereotipi classici che nulla hanno a che fare con un legittimo contenzioso sulla sostanza di decisioni, atti e fenomeni politici che caratterizzano la società israeliana e la conflittualità geopolitica nella quale storicamente, a suo malgrado, si ritrova. Il fatto è che retorica antisraeliana ha spesso adottato immagini e stereotipi dell’antisemitismo classico, sia di matrice cristiana che, più recentemente, nazista. La propaganda antisionista sovietica e panaraba e quella islamista hanno sempre prediletto la demonizzazione e il ricorso ai temi classici dell’antisemitismo tradizionale – incluse teorie del complotto e l’accusa del sangue – per caratterizzare l’operato d’Israele. E questi stereotipi da sempre stanno di casa non solo nell’estrema destra ma anche nell’area militante del progressismo politico che si proclama tollerante e liberal. La Dichiarazione, lungi dal riconoscere questo problema, cerca in qualche modo di metterlo a tacere.

    Invece che riconoscere come molto dell’antisemitismo contemporaneo, sotto le mentite spoglie di battaglie per i diritti palestinesi, rigurgiti vecchi stereotipi, i firmatari della dichiarazione di Gerusalemme si sono scagliati contro la vigente definizione dell’antisemitismo perchè a loro dire crea confusione, specialmente per i molteplici esempi che offre di antisemitismo mascherato da critica a Israele. I firmatari, che difendono chi sostiene il boicottaggio contro Israele, l’antisionismo e la promozione di uno stato unico che si sostituisca a Israele come soluzione del conflitto israelo-palestinese, non apprezzano, né riconoscono, che il pregiudizio più antico del mondo sta di casa nel loro spazio politico. In realtà, a creare confusione è la Dichiarazione di Gerusalemme. Altro non è che un alibi, con firma e ceralacca di tanti intellettuali, per il persistere del pregiudizio che pretende di voler combattere.

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