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    Lapid negli Emirati: “Visita storica ma non è ancora amore” – Intervista a Alex Peterfreund, chazan della sinagoga di Dubai

    Verso la conclusione della prima storica visita ufficiale di un rappresentante del governo israeliano negli Emirati Arabi Uniti, ieri sera i due ministri degli Esteri, Abdullah bin Zayed al-Nahyan e Yair Lapid, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta. I toni rendono l’idea del successo della missione e non lasciano dubbi sugli ulteriori sviluppi delle relazioni tra i due paesi. “I legami bilaterali – si legge – saranno approfonditi, ampliati e rafforzati ulteriormente nel prossimo futuro a beneficio di entrambi i paesi e della regione nel suo insieme”. Il cenno alle “sfide regionali” lascia intendere l’intenzione di non trascurare la minaccia rappresentata dal programma nucleare iraniano ma l’enfasi è decisamente spostata sul “promuovere la forza positiva della pace nella regione”. Tra l’accordo siglato la settimana scorsa tra lo Sheba Medical Center e il Ministero della Salute di Abu Dhabi e l’Expo di Dubai alle porte – Lapid ha visitato il Padiglione di Israele e ne ha incontrato il commissario generale Elazar Cohen, la strada della collaborazione è ormai più che spianata. 

    All’inaugurazione del consolato di Israele a Dubai, c’era anche Alex Peterfreund, cofondatore e chazan del “Jewish Council of the Emirates”, una comunità di circa 500 membri attivi, con nuove prospettive di crescita e sviluppo. 

    Che atmosfera c’è stata, intorno alla visita?

    “Devo ammettere che vedere la security emiratina lavorare fianco a fianco con quella israeliana, per me, è stato come guardare un film di fantascienza. In realtà credo che per loro sia stato semplice, la mentalità è piuttosto simile. 

    Un momento storico da molti punti di vista, insomma.

    “Non c’è che dire. Non c’è paragone rispetto a una visita di un ministro israeliano in Egitto o in Giordania”. 

    Che impressione ha avuto di Yair Lapid?

    “Ho ascoltato il suo discorso alla conferenza stampa e mi ha colpito. Ha saputo dire le cose giuste, con il giusto tono. Ad esempio, non è voluto entrare nel merito delle domande sull’Iran. E non deve esser stato semplice. Nell’ultimo anno, con l’instabilità di governo in Israele, gli Emirati si erano tenuti in disparte, non intendevano essere usati per fini di campagna elettorale. Ma ora che un governo c’è, è tempo di far procedere le relazioni”. 

    Oltre all’instabilità di governo, di recente, ci sono state altre questioni che hanno messo alla prova i rapporti. La guerra con Gaza è ancora fresca nella memoria.

    “Penso che il recente conflitto sia stato un momento di riflessione. E quello che possiamo constatare finora è che le relazioni sembrano essere più forti degli “up and down” e possono continuare a crescere. Naturalmente ci vorrà del tempo. E non mancheranno altri ostacoli da superare. Credo che gli Emirati abbiano compiuto un passo coraggioso, che si siano messi in una posizione scomoda. Il mondo arabo non ha risparmiato le critiche e non è facile mantenere l’orientamento, in questa situazione”. 

    La stampa israeliana ha rilevato un’attenzione mediatica elevata negli Emirati. Quali sono state le reazioni alla visita, nella società?

    “Le persone coinvolte negli Accordi ne erano al corrente. E sì, la stampa ne ha parlato. Ma non è che la visita del ministro degli esteri israeliano fosse esattamente sulla bocca di tutto il paese. Non dobbiamo nemmeno esagerare. Non è ancora una storia d’amore. La coppia si è appena incontrata e non ha ancora fissato la data del matrimonio. Forse non si sposeranno mai. Ma hanno molto in comune, in termini di interessi. Sono due paesi entrambi determinati a far crescere l’economia, a sviluppare la tecnologia dell’intelligenza artificiale. Entrambi hanno visioni a medio-lungo termine, per i prossimi dieci/quindici anni. Le collaborazioni tra Israele ed Emirati, specialmente nei settori della medicina, dell’agritech, della cibersecurity, saranno tantissime. Non ci dimentichiamo che ciò che rende questi Accordi così interessanti non è solo la normalizzazione dei rapporti tra i governi ma tra le persone. Ad esempio, come in Israele anche qui è probabile che ci siano pareri diversi. La differenza è che negli Emirati, la gente non critica mai apertamente la leadership. E vedo che questa cosa degli israeliani, sorprende e affascina gli emiratini”. 

    Come sta cambiando ultimamente la vita, per la comunità ebraica?

    “Essere un ebreo qui non è mai stato un problema. Non abbiamo mai sentito di non essere benvenuti. Ci sentivamo un po’ diversi, un po’ speciali. Sentivamo di dover essere magari un po’ più attenti dal punto di vista della sicurezza. Oggi ci sono ebrei che camminano tranquillamente per Dubai con la kippah in testa e si sentono decisamente più al sicuro che a Parigi o a Bruxelles. D’altro canto, vivo qui da quasi otto anni e per i primi sette ho avuto pochissimi amici degli Emirati. Ho conosciuto molti expat, amici europei, americani, canadesi, australiani. Ma la popolazione locale si è sempre tenuta un po’ distante. Non è facile stabilire un contatto, e non si crea un legame con loro, senza avere l’occasione di fare affari direttamente. Devo ammettere che dopo gli Accordi di Abramo, ho stretto amicizia con più emiratini negli ultimi mesi, che nei sette anni precedenti. È stata decisamente una spinta per le persone ad aprirsi. E anche a mostrare interesse e curiosità per la comunità ebraica”. 

    Vi aspettate una forte crescita e nuovi arrivi negli Emirati, da parte degli ebrei?

    “Quando sono arrivato a Dubai non c’era una vera e propria comunità ebraica organizzata. Sono certo che la nostra comunità crescerà e si doterà di una struttura più solida. Ci mancano scuole e cimiteri, più ristoranti e supermercati kosher. Per questo servirà tempo e budget, ma ci arriveremo. Sì, mi aspetto di vedere arrivare più ebrei europei. Soprattutto francesi, che in Israele a volte soffrono delle differenze culturali e di mentalità”. 

    Che consigli darebbe a un ebreo europeo che arriva a Dubai?

    “La gente non deve aspettarsi che questo posto sia tutto rose e fiori, che sia tutto glamour e soldi facili. Gli emiratini sono grandi lavoratori, sono imprenditori competitivi e il mercato è globale. Ma per chi è preparato, motivato e determinato, questo è decisamente un paese interessante dove vivere”. Quale messaggio avrebbe voluto recapitare a Lapid, se avesse potuto parlare con lui? “Pensando ai turisti, vorrei che passasse il messaggio che ogni israeliano che arriva qui, dovrebbe sentirsi – e comportarsi – come un ambasciatore per il suo paese. Gli Israeliani sono un popolo molto accogliente, ma il rovescio della medaglia è che non sempre percepiscono la forma. È molto importante dire a chiunque verrà qui che gli Emiratini sono molto educati. E non vorrei che gli israeliani li traumatizzassero. Ecco, spero che questo messaggio di consapevolezza passerà dai ministri alle persone. Poi penso che qui sono stati capaci di gestire i turisti russi e gli inglesi, allora mi tranquillizzo”. 

    Che programmi ha per il suo futuro? Intende restare stabilmente?

    “Sa come si dice qui, Inshallah. Con il tempo mi sono fatto saggio. Non puoi fare troppi programmi nella vita. Però mi sento molto coinvolto nello sviluppo della comunità ebraica e ne vado molto fiero. Mi sento come un pioniere. Sono sicuro che quando consegnerò il testimone alla prossima generazione di ebrei, proverò molto orgoglio”.

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