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    Nonostante i tentativi di impedirlo con la forza, la Knesset ha approvato in prima lettura le leggi di riforma giudiziaria

    Il voto

    La Knesset, il parlamento
    israeliano, ha approvato con una netta maggioranza (63 a 47) in prima lettura
    la prima parte della riforma giudiziaria. Si tratta di due provvedimenti che
    emendano la “legge fondamentale” sul sistema giudiziario, modificando la
    composizione del comitato di selezione dei giudici e sottraendo alla Corte
    Suprema la possibilità di abrogare le “leggi fondamentali”, che hanno in
    Israele una funzione analoga alle nostre leggi costituzionali. Nel nuovo
    comitato non vi sarà più la maggioranza automatica di tre giudici della Corte
    Suprema più due rappresentanti dell’avvocatura su nove membri che faceva in
    sostanza della nomina dei giudici della Corte Suprema una cooptazione. Vi
    saranno invece rappresentanti della Knesset, inclusa obbligatoriamente
    l’opposizione, del governo e della società civile, con l’effetto di aumentare
    la differenza di posizioni all’interno della Corte. Il coinvolgimento della
    politica nella nomina della Corte Costituzionale è un principio derivante
    dall’equilibrio dei poteri ed è presente in quasi tutte le società occidentali,
    inclusi l’Italia e gli Stati Uniti. Altrettanto diffusa è l’interdizione per le
    Corti costituzionali di abrogare parti delle costituzioni e dei loro
    emendamenti e aggiornamenti.

    La giornata politica

    Lunedì 20 febbraio è stata una
    giornata difficilissima della politica israeliana. Gli oppositori delle riforme
    non si sono limitati al voto, ai discorsi in Parlamento e neppure alle
    manifestazioni. Hanno iniziato la mattina presto a cercare di sequestrare
    fisicamente i deputati della maggioranza a casa loro (inclusa una parlamentare
    cui è stato impedito di accompagnare a scuola una figlia con gravi problemi,
    suscitando lo sdegno generale). Poi hanno bloccato, sempre per impedire il
    funzionamento del parlamento, le maggiori strade e autostrade israeliane e
    hanno circondato l’edificio della Knesset. Solo l’intervento della polizia, con
    diversi arresti, ha consentito che i parlamentari potessero arrivare a svolgere
    la loro funzione. C’è stato quindi un tentativo di invasione del parlamento da
    parte dei manifestanti e anche nell’aula si sono ripetuti comportamenti di
    rottura delle regole da parte dei deputati dell’opposizione, che hanno portato
    all’espulsione temporanea di alcuni di loro, che poi sono stati comunque
    riammessi al voto. Nei discorsi parlamentari sono state pronunciate terribili
    accuse, compresa quella di un deputato del partito di Lapid che ha accusato la
    maggioranza di essere “nazista” e di un altro che ha letto un “elogio funebre”
    per la democrazia israeliana: esagerazione insultante, di cui invano Netanyahu
    ha chiesto la rettifica.

    Il commento del primo ministro
    Netanyahu

    “I manifestanti parlano di
    democrazia, ma stanno attentando alla democrazia quando impediscono ai
    rappresentanti pubblici di esercitare il loro diritto democratico fondamentale:
    il voto”. Ha aggiunto che stanno “calpestando la democrazia non permettendo ai
    rappresentanti eletti di Israele di portare avanti la loro politica. Non
    accettano l’esito delle elezioni, non accettano la decisione della maggioranza,
    non condannano gli appelli a uccidere il primo ministro e la sua famiglia,
    bloccano le strade e invocano la disobbedienza civile, invocano senza vergogna
    una guerra civile e per il sangue nelle strade, minacciano aggressivamente i
    membri della Knesset”.

    Che succede ora

    Essendo la Knesset un parlamento
    composto di una sola camera, sono prescritte tre sue votazioni per trasformare
    un testo in legge. Dopo l’approvazione del Comitato Legislativo, avvenuta la
    settimana scorsa, ieri c’è stata la prima, che è quella fondamentale perché
    certifica la volontà parlamentare di emanare la legge. Il testo ora torna nel
    Comitato Legislativo, dove può venire emendato e messo a punto; qui avvengono
    dunque le eventuali trattative fra maggioranza e opposizione. Poi dopo qualche
    giorno il testo così corretto torna all’assemblea della Knesset e la seconda e
    terza votazione avvengono normalmente nella stessa seduta. Vi è dunque ora un
    tempo per il compromesso, sempre che la minoranza voglia impegnarsi in esso.
    Dato che la coalizione di governo non ha accettato di bloccare il processo di
    riforma che faceva parte del resto del programma su cui ha vinto le elezioni
    tre mesi fa, essa ha annunciato un boicottaggio e ha rifiutato finora ogni
    negoziato. Bisognerà vedere se persisterà in questo atteggiamento.

    Il seguito della riforma

    Seguiranno poi con altre leggi
    altre parti della riforma, in particolare quella che prevede la possibilità
    della Knesset di riapprovare eventualmente provvedimenti abrogati dalla Corte e
    quella che dovrà riformare il ruolo del “consigliere giuridico” del governo,
    che è insieme il responsabile nazionale della Pubblica Accusa e il controllore
    degli atti di governo, quello che negli ultimi giorni si è arrogato il diritto
    di proibire a Netanyahu di parlare in qualunque modo della riforma del
    giudiziario, sotto la minaccia di decretarne la rimozione per un molto teorico
    conflitto di interessi, dato che egli è sottoposto in questo periodo a un
    processo. Questi ruoli che convivono in una sola persona dandole un potere
    immenso, dovrebbero secondo la maggioranza essere suddivisi fra diversi
    funzionari.

     

     

     

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