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    Perché il governo israeliano deve cambiare la Legge del Ritorno. Una riflessione di Miky Steindler

    מדינת ישראל תהא פתוחה לעליה יהודית ולקיבוץ גלויות

    “Lo stato di Israele sarà aperto all’aliyah ebraica e al ritorno dalla diaspora”: questa frase è tra le più note della dichiarazione di indipendenza dello Stato Ebraico. E così fu per ebrei provenienti da tutto il mondo compreso il sottoscritto. 

    La Legge del Ritorno prevede che possa ‘’salire’’ non solo chi è ebreo nel senso rituale del termine, ma anche chi ha semplicemente origine ebraica o abbia fatto una conversione non conforme alla tradizione ebraica codificata nei secoli. La conseguenza di questa diacronia sta portando a una riflessione del nuovo governo, ovvero, se modificare la Legge del Ritorno.

    Israele non è uno stato teocratico, ovvero è uno stato con istituzioni e leggi laiche. In tanti anni che vivo in questo paese ho visto che la sua popolazione ha una chiara identità ebraica; personalmente credo che religiosi o laici, la maggioranza degli israeliani, vorrebbero che lo stato continui ad avere una popolazione con una religione comune (banale scrivere nel rispetto di ogni altra confessione) ovvero quella codificata e tramandata nei secoli, salvo la libera scelta di osservarne e praticarne poca o tanta; gli esempi sono vari da chi arriva con la macchina di Shabat per fare il bar mizva, le coppie che dopo anni di convivenza si sposano sotto la Chuppà, i figli che anche se non religiosi fanno il kadish per i propri genitori, i Templi che si riempiono la sera di Kippur, anche con la partecipazione di chi non ha digiunato, e potrei dilungarmi ancora … 

    Negli ultimi trent’anni stiamo assistendo ad un dato che io ritengo preoccupante, la maggior parte di coloro che richiedono di poter usufruire della Legge del Ritorno non sono ebrei. Andiamo con ordine: 

    il numero degli olim dai paese dell’ex blocco sovietico ebrei è pari a circa al 25%, a ciò si aggiunge la scelta di molti di lasciare il paese quando hanno ottenuto il passaporto israeliano. E ci sono anche coloro che sono di ‘’origine ebraica’’ che hanno solo un nonno o una nonna ebrea.

    Vi è inoltre il tema delle conversioni, mentre i Tribunali Rabbinici Ortodossi agiscono di concerto con il Rabbinato centrale di Israele, quelli Conservative e Reformer hanno un approccio aperto completamente avulso dalla tradizione ebraica; creando un pericoloso sillogismo: “mi sento ebreo, divento ebreo; dunque, posso essere cittadino israeliano”; mi chiedo, e temo, quando una qualche rete di immigrazione clandestina possa sfruttare questa situazione.

    È evidente che questa riflessione possa portare a dei conflitti con parte dell’ebraismo diasporico, specialmente americano, e le pressioni sono già iniziate, con ‘’caldi avvisi’’ alle organizzazioni sionistiche. Io credo che lo stato di Israele non debba cedere ad alcuna pressione, per vari motivi, in primis etici. Sappiamo tenere separati religione e stato, e vogliamo decidere quale sia la nostra religione.  

    Vi è infine un’altra considerazione personale: tranne poche isole felici – e Roma è tra queste – l’ebraismo al di fuori di Israele sta purtroppo collassando, i numeri ci raccontano di intere comunità che stanno scomparendo, molti Templi sono trasformati in musei, congregazioni che non hanno più alcun rapporto con la tradizione ebraica; la ‘’salita’’ in Terra di Israle deve e può diventare anche un momento di riscoperta delle radici e della plurimillenaria tradizione ebraica; sia per coloro ai quali la dittatura comunista ha imposto l’abbandono della fede, sia per quelli che, travolti da inesistenti scorciatoie, sono oggi di ‘’origine ebraica’’. Facciamo sì che il ritorno dalla diaspora sia anche spirituale e non solo fisico.

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