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    Perché Israele ha ragione a voler sciogliere le Ong che finanziano il terrorismo

    Da molto tempo Israele ha molti motivi di contrasto politico con l’Unione Europea, ma di recente le stesse cause lo dividono anche dagli Stati Uniti di Biden. In termini generali, il problema deriva da una visione opposta dei problemi politici del Medio Oriente: Israele, come i paesi sunniti del Golfo e l’Egitto, subisce la pressione militare e la sovversione terroristica dell’Iran, percepisce la possibilità imminente di una suo armamento militare come un pericolo mortale, ritiene che la priorità politica assoluta debba essere la repressione delle minacce iraniane. L’Europa e (di nuovo, come ai tempi di Obama) gli Usa vogliono trattare con l’Iran, non sono particolarmente spaventati per la prospettiva che esso ottenga l’atomica, sono disposti a riconoscergli un’egemonia regionale ai danni di Israele e dei paesi arabi. All’inverso Europa e Usa vedono come particolarmente urgente il problema palestinese, vogliono evitare che Israele consolidi il suo controllo di Giudea, Samaria e perfino di Gerusalemme, cercando di rafforzare la corrotta e decadente Autorità Palestinese e magari di proteggere anche Hamas. Israele, con l’accordo sostanziale dei paesi arabi vicini, pensa invece che la strada della pace non passi oggi per l’Autorità Palestinese, ma per gli accordi di Abramo.

    Vi sono poi i problemi specifici, per esempio la volontà americana di riaprire a Gerusalemme (non a Ramallah) la sua rappresentanza diplomatica per l’autorità Palestinese: un modo indiretto per rimangiarsi in sostanza la decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. C’è poi l’eterno problema della necessità che le cittadine e i villaggi di Giudea e Samaria hanno di costruire nuovi appartamenti per la popolazione in crescita: Usa ed Europa vogliono impedirlo e aiutare invece a costruire case per i sudditi dell’Autorità Palestinese anche nella zona C, che gli accordi di Oslo riservano all’esclusivo controllo ebraico.  

    Ma il caso più clamoroso delle ultime settimane riguarda sette organizzazioni non governative palestiniste  (Ong) che sono state dichiarate terroriste e bloccate dal ministero della difesa israeliano – pur notoriamente poco propenso all’estremismo e che con la sua amministrazione di Giudea e Samaria (COGAT) si sforza soprattutto di garantire i diritti e il benessere dei residenti arabi, sulla base di un ragionamento pragmatico, anche se certamente discutibile: una popolazione soddisfatta e ben considerate è meno tentata ad adottare comportamenti violenti. Il provvedimento è inoltre stato firmato da un politico che ha certamente poche simpatie per il nazionalismo come Benny Gantz, ministro della difesa. Ma ne sono nate grandi polemiche. Gli Usa hanno protestato di non essere stati informati preventivamente, come se Israele avesse bisogno del loro consenso per difendersi dai terroristi. I paesi europei e la loro Unione, che finanziano massicciamente tutta la galassia palestinista e anche queste Ong, ha sostenuto che il provvedimento israeliano era ingiustificato.

    Tutto ciò la dice lunga sul  rispetto che oggi gli occidentali hanno per la sovranità israeliana: figuriamoci se ci fosse qualche paese straniero che volesse mettere il becco nelle scelte italiane di  sciogliere o meno Forza Nuova o le Brigate Rosse. Il diritto internazionale permette a ogni stato di combattere il terrorismo e chi lo assiste; inoltre Israele come l’Italia è una democrazia e ha una magistratura indipendente che può annullare i provvedimenti del governo che non hanno basi giuridiche o fattuali.

    Ma c’è di più: è chiarissimo che le sette Ong hanno legami organizzativi e personali fortissimi con il “Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina” (FPLP), fondato da Ahmed Jibril e  George Habash, che ha firmato  centinaia di azioni terroristiche, dirottamenti, omcidi, attentati suicidi, già dichiarata organizzazione terroristica dagli Usa, dall’Unione europea e dal Canada. Il loro gruppo dirigente è formato quasi interamente da uomini del FPLP, per cui servono come canale di finanziamento (https://fathomjournal.org/palestinian-ngo-terror-links-assessing-the-implications-of-israels-designations/). Per esempio, Shawan Jabarin, direttore generale di una di queste Ong, “Al-Haq”, è stato condannato nel 1985 per aver reclutato e organizzato corsi di formazione per i membri del FPLP; Khalida Jarrar, ex vicepresidente di un’altra, “Addameer”, è stata condannata a due anni di carcere nel marzo 2021 per appartenenza al FPLP; Ubai Abudi, direttore esecutivo di una terza, il “Centro Bisan”, è stato condannato a 12 mesi di carcere nel 2020 per appartenenza al FPLP. (https://www.jns.org/opinion/israels-outlawing-of-palestinian-ngos-was-in-accordance-with-international-law/).

    Solo l’altro giorno, Juana Ruiz Rashmawi, attivista spagnola di una quarta di queste Ong, “Health Work Committees”, ha ammesso in tribunale che i soldi che raccoglieva con pretesti sanitari, andavano a finanziare le operazioni del FPLP (https://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/316683): tutte cose che l’UE dovrebbe conoscere, dato che finanzia queste organizzazioni, e che sono state documentate nei dettagli agli Usa. E allora perché le proteste? Perché lo stesso ministro della difesa di Israele è stato costretto a difendere di persona una decisione ovvia come tagliare i canali di rifornimento ai terroristi? Vi è una ragione specifica e una più generale: la prima è il tentativo dell’Unione Europea di nascondere la propria complicità col terrorismo, che contrasta con le sue stesse norme. La seconda è un pregiudizio, purtroppo fondata nella burocrazia americana come in quella europea: che i palestinesi sono vittime di Israele e dunque hanno il diritto di difendersi in tutti i modi, anche violenti; e che, secondo la morale “woke” oggi dominante fra i democratici, in ogni conflitto fra Israele e l’Autorità Palestinese non conta chi ha ragione e chi ha torto, ma bisogna stare sempre “dalla parte degli oppressi e delle vittime”.

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