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    Una grave crisi politica in Israele sulla riforma della giustizia

    I disordini

    Lunedì 13 febbraio 2023 è stata una delle giornate più difficili dei settantacinque anni di storia della Knesset, il parlamento israeliano. Era in programma la discussione in Commissione affari costituzionali della prima parte della riforma dell’ordinamento giudiziario, che fa parte del programma con cui l’attuale maggioranza ha vinto le elezioni appena tre mesi fa. Vi sono state manifestazioni e disordini. 

    Intorno all’edificio della Knesset si sono riunite decine di migliaia di persone e qualcuno è riuscito perfino a penetrare nell’edificio, interrompendo la riunione del gruppo parlamentare UTJ (i religiosi askenaziti, che fanno parte della maggioranza di governo). La riunione della commissione costituzionale è stata turbata da schiamazzi e perfino da violenze, i deputati dell’opposizione hanno cercato in ogni modo di impedire la riunione, scavalcando i tavoli e buttandosi contro la presidenza, trattenuti a stento dai commessi, e vi sono state 14 espulsioni. Nel frattempo vi sono state minacce di morte a Netanyahu e in generale alla maggioranza di governo: per esempio il sindaco di Tel Aviv, che è una delle persone più potenti del paese e sostiene l’opposizione, ha dichiarato pubblicamente che “solo un bagno di sangue” può “riportare la democrazia” in Israele.

     

    Le proposte di legge

    In concreto i provvedimenti da discutere nella commissione erano due. Il primo modifica la composizione del comitato che sceglie i giudici della corte suprema, spostandone l’equilibrio interno, che finora prevedeva una maggioranza automatica dell’apparato legale e un sostanziale diritto di veto per i vecchi giudici, in favore del Parlamento (il che naturalmente significa della sua maggioranza), come accade in molti paesi fra cui in parte anche l’Italia. L’altra proposta di legge elimina la possibilità di annullamento da parte della Corte Suprema delle “Leggi Fondamentali” che in Israele tengono il posto di una Costituzione che non è mai stata scritta in forma organica. Anche questo corrisponde a quel che accade in molti paesi: né negli Stati Uniti, né in Francia né in Italia, per esempio, i giudici costituzionali possono abrogare articoli delle leggi costituzionali. 

     

    Che succede adesso

    Le due proposte di legge sono state approvate a maggioranza dalla commissione, che ne ha autorizzato l’esame del plenum della Knesset. Dato che si tratta di un parlamento con una sola camera, le proposte di leggi in Israele devono passare tre votazioni per essere approvate. La prima di queste votazioni dei due progetti di legge avverrà mercoledì o più probabilmente lunedì. Questa settimana e anche il tempo fra le successive votazioni potrebbe essere usato per raggiungere un compromesso. L’ha chiesto anche il presidente Herzog, in un messaggio trasmesso in televisione domenica sera, in cui proponeva anche le linee di un possibile accordo: un gesto del tutto inconsueto nel sistema politico israeliano, dove il presidente è una figura sostanzialmente formale, con poteri legali anche minori del presidente italiano. Qualche voce disposta all’accordo si è sentita, inclusa quella di chi ha proposto la riforma giudiziaria, il ministro della giustizia Yariv Lévin. 

     

    Le scelte dell’opposizione

    Ma vi è molta intransigenza, tacita nella maggioranza di governo e molto esplicita nell’opposizione, che ha scelto la strada della piazza e della denuncia plateale di una “fine della democrazia” in Israele. Ma la democrazia consiste nell’esistenza di elezioni regolari, nel governo della maggioranza secondo i programmi sottoposti all’elettorato, nel diritto della minoranza di esprimere liberamente la propria opposizione, in una stampa libera ecc. Tutte queste condizioni in Israele ci sono da sempre e anche la crisi attuale le dimostra largamente. Bisogna solo sperare che tutte le parti politiche agiscano in maniera responsabile, accettando le regole del gioco e soprattutto quella fondamentale, che la sovranità appartiene al popolo.

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