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    Parashà di Chukkàt: quando scompare un giusto. La morte di Miriam

    La parashà si apre con la mitzvà della vacca rossa. Lo scopo di questa mitzvà è di purificare coloro che si sono resi impuri per via di contatti con dei cadaveri. A questo argomento la Torà dedica  ventidue versetti. Subito dopo segue un versetto nel quale è scritto: “Nel primo mese [del quarantesimo anno] tutta la congregazione dei figli d’Israele arrivò al deserto di Tzin. Il popolo si fermò a Kadèsh; lì morì Miriam [sorella di Moshè] e lì fu sepolta” (Bemidbàr, 20:1).  

    In un passo midrashico nel Talmud babilonese (Mo’èd Katàn, 28a) è scritto: “Rabbi Ammi disse: perché il racconto della morte di Miriam è accostato alle regole della vacca rossa? Per insegnarti che come la vacca rossa serve a fornire espiazione così pure la morte dei giusti serve per espiazione [ai sopravvissuti].

    In effetti non è chiaro quale sia l’espiazione fornita dalla vacca rossa. Infatti le ceneri della vacca rossa servivano solo a purificare gli impuri.

    R. Ya’akòv Yosef di Polnoye (Ucraina, 1710-1783) in Toldòt Ya’akov Yosef (Chukk’at, pp. 541-542, ed. 1973) riferendosi al succitato passo passo del Talmud (“come la vacca rossa serve a fornire espiazione così pure la morte dei giusti serve per espiazione”), cita il commento delle Tosafòt che affermano che la vacca rossa serve a espiare il peccato del vitello d’oro.

    R. Ya’akov Yosef osserva che il commento delle Tosafòt è di difficile comprensione perché nel peccato del vitello d’oro furono coinvolti tre gruppi di persone. Coloro che commisero il peccato davanti a testimoni che li avevano diffidati, furono giustiziati dai Leviti per aver commesso il peccato di ‘avodà zarà (idolatria). Quelli che l’avevano fatto con testimoni ma non erano stati diffidati, morirono di morte improvvisa. A coloro che non avevano testimoni fu fatta bere l’acqua con la polvere d’oro della statua e i colpevoli morirono come una sotà, la donna traviata che era stata infedele al marito. Tutti i colpevoli avevano ricevuto una punizione. Chi erano quindi coloro che avevano bisogno di espiazione per il peccato del vitello d’oro?  Per rispondere a questo enigma, R. Ya’akòv Yosef cita R. Moshè Alshich (Adrianopoli, 1508-1593, Safed) che in Toràt Moshè alla parashà di Ki Tissà afferma che l’espiazione fu necessaria per i presenti che non avevano adorato il vitello d’oro ma non avevano protestato contro coloro che l’avevano fatto. Tutti gli israeliti sono responsabili l’uno con l’altro (‘arevìm ze lazè) e per questo anche coloro che non avevano commesso il peccato ma non avevano protestato avevano bisogno di espiazione.  

    R. Shimshòn Nachmani (Modena, 1707-1779, Reggio Emilia) osserva (Zera’ Shimshòn, 2:131, ed. Wagshal) che se la morte dei giusti serve da espiazione sarebbe stato più opportuno accostare il racconto della morte di Miriam a un passo della Torà che tratta dei sacrifici di espiazione (korbàn chattàt). Inoltre come si può affermare che la morte dei giusti serve da espiazione e che quindi vi fu un beneficio per il popolo? Il fatto è che dopo la morte di Miriam la situazione degli israeliti peggiorò perché la sorgente che esisteva per merito suo scomparì e il popolo si trovò senz’acqua. Infatti nel versetto successivo a quello della morte di Miriam è scritto: “La congregazione non aveva acqua e si radunò contro Moshè ed Aharon”.

    R. Nachmani spiega che la benedizione che viene al popolo per merito di un giusto si riduce quando la generazione non lo merita. Il giusto scompare per via dei peccati della generazione. Se però la generazione si rende conto della gravità della perdita e fa teshuvà (si pente), i loro peccati vengono espiati. Questo è il motivo per cui il racconto della morte di Miriam segue quello della vacca rossa.  

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