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    Parashà di Emòr: un versetto senza spiegazioni alternative

    R. Yehudà Halevi (Spagna, 1075-1141, Gerusalemme) nella sua opera “Il re dei Khazari” inserisce una discussione tra un saggio ebreo e il re dei Khazari su un passo che appare alla fine di questa parashà. La discussione immaginaria tra i due tratta sui ragionamenti dei Caraiti che interpretavano la Torà letteralmente e non accettavano la tradizione orale, la Torà Shebealpè.

    Nella parashà è scritto: “Colui che ferirà un animale, lo pagherà, vita per vita. Tale è il danno che [qualcuno] ha inflitto a un uomo, tale è quello che si deve infliggere a lui: una frattura per una frattura, un occhio per un occhio, un dente per un dente; per il danno fatto all’altro si dovrà dare il risarcimento”(Vaykrà, 24:17-20).

    Il re dei Khazari domandò: “Non è forse la pena del danno spiegata nella Legge, là dove è detto: «occhio per occhio» e là dove è detto: «Tale è il danno che [qualcuno] ha inflitto a un uomo, tale è quello che si deve infliggere a lui»”?

    Il saggio rispose: “Non è detto forse anche: «E colui che ferirà un animale, lo pagherà, vita per vita»? Non si deve forse intendere con ciò il valore corrispondente? Perché non dice: «A chi ucciderà il tuo cavallo, uccidigli il cavallo», ma dice invece: «Prendi il suo cavallo», perché non avresti vantaggio ad uccidere il suo cavallo; e nello stesso modo, se ti hanno tagliato una mano, non ti diranno «va a tagliargli la mano», perché non ti sarebbe di alcun vantaggio tagliargli la mano; tanto più che ci sarebbero in questo giudizio cose contrarie all’intelletto: [se si dovesse] dare ferita per ferita, colpo per colpo, come si potrebbe determinare e misurare questo? Dato che uno potrebbe morire di una ferita per la quale un altro non è morto. E come si può misurarne l’entità?  E come strapperemo l’occhio a chi ne ha uno solo, perché egli ha strappato l’occhio a chi ne aveva due? Uno resterebbe cieco, e l’altro con un occhio, mentre la Legge dice: «tale è il danno che [qualcuno] ha inflitto ad un uomo, tale è quello che si deve infliggere a lui»; e che necessità ho di parlare con te di questi particolari, dopo averti provato la necessità della tradizione, e la veridicità dei savi dai quali la ricevemmo, la loro grandezza, scienza e intelligenza”? [“Il re dei Khazari”, Torino, Paolo Boringhieri, 1960, Parte III, 44-48. Traduzione di r. Elio Piattelli].

    R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1992, Boston) in Mesoras Harav (p. 203) commentando la parashàscrive: “Dopo aver fornito una base esegetica per l’interpretazione dell’espressione «Occhio, per un occhio» come risarcimento monetario, il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nelle Hilkhòt Chovèl u-Mazìk (1:6) aggiunge: «Questa decisione [del risarcimento monetario] è quella alla quale furono testimoni i nostri antenati nel Bet Din (tribunale) di Yehoshua’ e in quello di Shemuel, e in ogni Bet Din che operò dai giorni di Moshè nostro maestro  fino ai nostri giorni». L’espressione «alla quale furono testimoni», usata dal Maimonide, da’ a questa specifica interpretazione una veridicità specifica. Per la maggior parte degli altri versetti della Torà, è lecito suggerire varie interpretazioni, più o meno in consonanza con il significato semplice del testo. Tuttavia, in questo caso, se qualcuno interpreta «occhio, per un occhio» letteralmente, è considerato, megalè panìm la-Torà, cioè, che interpreta la Torà in contraddizione alla Halakhà […]. Vi sono alcuni versetti nella Torà che nel corso di molte generazioni sono stati uniformemente interpretati in un modo specifico. A queste interpretazioni «vi furono testimoni». E in questi casi queste interpretazioni hanno la veridicità della Torà shebikhtàv, della Scrittura. La spiegazione tradizionale è inoppugnabile e il versetto non è aperto a spiegazioni alternative”.  

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