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SPECIALE PESACH 5784

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    Commento alla Torah. Vayetzè: Ya’akòv ci insegna come comportarsi con il prossimo

    Dopo il sogno nel quale Ya’akòv vide una scala che raggiungeva il cielo con angeli che salivano e scendevano, la Torà racconta cosa avvenne quando Ya’akòv arrivò a Charàn dove abitava lo zio Lavàn: “Ya’akòv si mise in cammino e andò nel paese degli levantini. Guardò, e vide un pozzo in un campo, e là vicino tre greggi di pecore accovacciate, perché da quel pozzo abbeveravano le greggi; e sul pozzo vi era una grande pietra. Là si radunavano solitamente tutte le greggi; allora i pastori rotolavano via la pietra dalla bocca del pozzo e abbeveravano le pecore; poi rimettevano la pietra al suo posto, sulla bocca del pozzo. E Ya’akòv disse loro: fratelli miei, di dove siete? Essi risposero: siamo di Charàn” (Bereshìt, 29-1:4).

    R. Shimshòn Refael Hirsch (Amburgo, 1808-1888, Francoforte) nel suo commento alla Torà osserva che la copertura di un pozzo pubblico deve essere facile da rimuovere per la convenienza delle persone che hanno bisogno di attingere l’acqua. Il fatto che vi fosse una pietra pesante che poteva essere rimossa solo da più persone insieme, riflette il carattere degli aramei che era gente che si fidava poco del prossimo e che si ingelosiva se qualcuno attingeva più acqua degli altri.  

    R. Ya’akòv Kamenetzky (Lituania, 1991-1886, Baltimora) in Emèt le-Ya’akòv (p. 168) fa notare che l’espressione “Fratelli miei” in questo contesto è poco usuale e richiede una spiegazione. È poco usuale perché normalmente la parola “Fratelli” viene usata solo per fratelli, parenti o vicini di casa, ma non per gente sconosciuta. Per esempio, più avanti è scritto che “Lavàn prese i suoi fratelli con sé e inseguì Ya’akòv …” (ibid, 31:23); e poi quando Lavàn raggiunse Ya’akòv è scritto: “E Lavàn e i suoi fratelli piantarono le tende sul monte Gil’àd” (ibid., 25) e cosi via.

    Quando, nella parashà di Chukkàt, Moshè inviò dei messaggeri al Re di Edòm con il messaggio: “Così ha detto tuo fratello Israele…”(Bemidbàr, 20:14),Rashì(Francia, 1040-1105) deve spiegare che l’espressione “fratello” inviata a una persona sconosciuta si riferiva alla fratellanza che derivava dal fatto che entrambi i popoli erano discendenti di Avrahàm, poiché gli edomiti erano discendenti di Esau.

    R. Kamenetzky spiega che vi era un buon motivo per cui Ya’akòv chiamo i pastori “Miei fratelli”. Rashì spiega che Ya’akòv vide che i pastori erano fermi, non abbeveravano i greggi e sembrava che si apprestassero a tornare a casa a metà giornata. Ya’akòv voleva ammonire i pastori dicendo: “Se siete dei dipendenti, non avete lavorato per tutta la giornata e venite pagati senza fare niente; se siete voi i proprietari dei greggi, solitamente i padroni cercano di trarre vantaggio di ogni minuto e non si apprestano a tornare a casa così presto”.  

    Quando si vuole ammonire qualcuno bisogna farlo con grande delicatezza e per avere successo è necessario creare con gli altri un sentimento di fratellanza. Questo è il motivo per cui Ya’akòv usò le parole “Miei fratelli” rivolgendosi a dei pastori che non aveva mai visto prima.

    R. Kamenetzky (Emèt le-Ya’akòv, p. 333)  aggiunge che qualcuno ritiene erroneamente che la mitzvàdella Torà di ammonire il prossimo quando commetta una mancanza oppure ometta un obbligo, faccia di noi i poliziotti del Padreterno, perché Egli desidera che osserviamo le mitzvòt ed è quindi una mitzvànei confronti dell’Eterno. Invece non è così. La mitzvà di ammonire il prossimo fa parte degli obblighi tra una persona e l’altra e va di pari passo a quella di voler il bene del prossimo. Ya’akòv chiamando “Fratelli” dei pastori sconosciuti, ci insegnò come bisogna comportarsi con  il prossimo.

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