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    Comunità ebraiche del Mediterraneo: Napoli

    Prima che il caldo estivo finisca prosegue il nostro
    viaggio per le comunità ebraiche italiane che si affacciano sul mare. Gli ebrei
    vi hanno per lo più svolto il ruolo di commercianti e banchieri ma non solo. A
    Napoli per esempio la comunità ebraica conta oggi poche centinaia di persone ed
    è situata nel centralissimo quartiere di San Ferdinando, nel cuore della città,
    ad un passo da Piazza dei Martiri. E’ la più meridionale delle Comunità
    ebraiche italiane ed ha una storia antica e interrotta da una cesura di alcuni
    secoli: la vita della comunità ricomincia infatti, dopo l’espulsione del 1541,
    nel 1740. Eppure una delle prime testimonianze risale al VI secolo, quindi vale
    la pena cominciare dall’inizio: da quando, cosa parecchio inconsueta, gli ebrei
    napoletani combatterono armi in pugno. Era il 536 d. e. v. e si ersero a fianco
    dei Goti contro il potere imperiale. Persero, lasciarono la città, ma dopo
    cinquanta anni erano di nuovo lì e prima dell’anno Mille il nucleo ebraico
    napoletano si distingueva per essere una ricca comunità. Le fortune crebbero
    anche sotto i Normanni e gli Svevi ed è probabilmente a metà del XII secolo che
    viene costruita una sinagoga ed una scuola. Fu il secolo seguente ad  probabile testimone di uno strano
    fenomeno:  vi furono infatti molte
    conversioni al cristianesimo ma la particolarità è che potrebbe essere stato un
    episodio in controtendenza rispetto a quanto avvenuto in epoca precedente
    quando pare che alcuni esponenti del patriziato avessero aderito all’ebraismo.
    Le fortune degli ebrei napoletani proseguirono sotto gli Aragona. Un’ebrea,
    Benvenida, moglie di Samuele, divenne responsabile dell’educazione della figlia
    del vice Re.

    Ma la vita delle comunità ebraiche era sempre appesa
    al filo della benevolenza e agli interessi del Re o del Signore locale e quella
    della comunità napoletana non fece differenze: anche se non furono mai
    rinchiusi in ghetto e se vi si rifugiarono ebrei profughi dalla Sicilia, dalla
    Sardegna e dalla Spagna nel 1510 venne emesso il primo bando di espulsione e
    rimase solo chi poteva pagare al sovrano tasse molto salate. Nel 1539, in
    previsione di una prossima espulsione, si stabilì che gli ebrei dovessero
    vivere in luoghi appartati e indossassero un berretto rosso o giallo – i
    maschi- mentre per le donne si trattava di una fascia degli stessi colori da
    apporre sugli abiti. Fu la popolazione napoletana ad opporsi   all’idea dell’espulsione, per questo chiese
    che gli ebrei potessero rimanere  fino al
    1545 e per i 5 anni successivi pagando un tributo maggiore. La risposta dalla
    Spagna giunse nel 1540 e fu negativa: nel maggio 1541 il bando di espulsione fu
    pubblicato.  Da allora, salvo poche
    presenze per fiere e mercati, gli ebrei non vi fecero ritorno fino all’inizio
    del millesettecento. Per tutti quei secoli gli ebrei napoletani erano stati
    dediti al commercio – anche degli schiavi – furono tintori, prestatori di
    denaro, banchieri. Vi fu  anche servo –
    Simone de Melle – e mercanti di formaggio e cera. Ma erano stati anche medici e
    traduttori dall’arabo al latino. A Napoli la corte ebbe un’importante vita
    culturale e vi fu un ampia produzione di manoscritti anche da parte
    ebraica.  I tipografi ebrei furono
    particolarmente noti durante la seconda metà del XV secolo e si occuparono non
    solo di testi in ebraico, ma anche in latino e greco, adoperando uno stile
    elegante e caratterizzato dall’uso di maiuscole e punteggiatura. Ed insieme
    alle tipografie vi furono anche librerie.

    Ma tutto si interruppe con l’espulsione per
    ricominciare nel 1830 grazie all’ingente prestito che la banca dei
    baroni-banchieri Rothschild concessero ai Borboni. Fu Carl, detto ”il barone
    mezuzà”, a gestire la faccenda trasferendosi a Napoli nel 1831. Il ruolo dei Rothschild
    fu fondamentale quando, nel 1861, venne fondata nuovamente la comunità ebraica.
    Contemporanea fu la creazione di una sinagoga – la stessa in uso ancora oggi –
    in via della Cappella Vecchia 31.

    Inserita con successo nel tessuto civile cittadino
    la comunità ebraica vanta il primo sindaco del dopoguerra Maurizio Valenzi. Ma,
    oltre a lui, vi è almeno un altro personaggio molto amato da tutta Napoli: fu
    l’imprenditore Giorgio Ascarelli fondatore del Napoli Calcio e costruttore
    dello stadio “Vesuvio” che, costruito in soli sei mesi, venne inaugurato giusto
    una manciata di giorni prima che Giorgio Ascarelli morisse d’infarto nel marzo
    del 1930. Per un breve periodo lo stadio venne dedicato a lui ma il fascismo
    trionfante lo ristruttura in vista dei mondiali del 1934: si chiamerà
    Partenopeo e il ricordo dell’imprenditore ebreo rimarrà solo nella memoria dei
    napoletani. Lo stadio e la città furono duramente bombardati durante le seconda
    guerra mondiale, gli ebrei napoletani vennero deportati e poi uccisi. Dopo la
    liberazione della città con “le quattro giornate” del settembre 1943 giunse in
    città la Brigata ebraica inquadrata nell’esercito inglese e molti ebrei
    arruolati negli eserciti alleati: fu così che mentre i nazisti compivano
    rastrellamenti di ebrei in tutta l’Italia settentrionale per destinarli allo
    sterminio a Napoli si celebrava la festa di Hannukah con più di mille ebrei, un
    numero che la città non aveva mai visto da secoli.

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