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    Giorno della Memoria: la forza di affermare la propria identità

    In occasione del Giorno della Memoria, abbiamo visto in televisione, fra altri, Ruth Dureghello e Ruben Della Rocca, Presidente e Vice Presidente della Comunità Ebraica di Roma. Costoro hanno menzionato Israele, così come la non comparabilità della Shoà con altri genocidi e le numerose delazioni da parte di connazionali durante l’occupazione tedesca. La menzione di argomenti difficili è un bell’atto di dignità, come quella di ogni altro ebreo che non accetti di fare la comparsa, elidendo sovente – e questo succede – la parola ’ebreo’. Forse questo succede perché non sono ‘intellettuali d’area’, un ossimoro, come abbiamo sempre detto, perché se l’intelletto dovesse rimanere ingabbiato in un recinto, sarebbe tutto fuorché un intelletto.

    Appare evidente che nel disquisire di Shoà vi sono, al contempo, una rimozione ed un espediente retorico. Quest’ultimo richiama la rappresentazione del passato, ma non ne menziona l’elaborazione, che gli conferirebbe un senso. Tanto più che il richiamo ripetuto al bene, anziché alla ragione, costituisce un invito implicito a spalancare le porte al suo contrario, per via della sua indefinibilità: si tratta del bene dell’individuo o del gruppo, dello Stato o delle unioni di Stati? Quanto alla rimozione, essa riguarda i sei milioni di dileggiati ebrei israeliani.

    Da ultimo, vi è chi critica il nazionalismo, ignorando il rischio insito nel voler forzare la natura, ignorando le nazioni ed ignorando il nostro passato, incarnato fra altri nella bellissima figura di Pasquale Stanislao Mancini, all’interno dell’epopea luminosa del Risorgimento.

    Voler essere accettati, per meglio confondersi e sparire, fa parte delle pulsioni dell’ebraismo di radice ottocentesca e novecentesca. Per farlo, vi è chi trova conveniente esorcizzare l’odio, demonizzando Israele e ponendo in essere i comportamenti ben identificati nella definizione IHRA di antisemitismo. Talvolta, nei discorsi sulla persecuzione e sulle leggi razziali, notiamo che è la stessa parola ’ebreo’ a sparire: sarà un caso?

    Emanate le leggi razziali, ci furono diversi atteggiamenti fra gli ebrei, fra i quali quello di sparire dall’ebraismo; tant’è che dal 1938 molti ebrei hanno conservato il nome (alcuni l’hanno cambiato, però) ma non la loro religione. Intendiamoci, questo è un loro sacrosanto diritto. Ciò che non è possibile è godere dei (pochi) benefici dell’ebraismo ma, nello stesso tempo, non farsi carico dei suoi oneri. Rav Elio Toaff (Perfidi giudei, fratelli maggiori, Milano,  1987, p. 26) racconta di aver detto ad un professore che andava a battezzarsi: “è mio dovere domandarle se è spinto a questo atto dalla fede nella religione cristiana, ché allora me ne vado subito, oppure da vigliaccheria e opportunismo, e allora dovremmo parlare un po’ insieme con calma». Da quanto esposto all’inizio, vediamo che l’insegnamento del grande Rav Elio Toaff, non è stato vano.

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